In occasione del Festival della Scienza di Fasano, inaugurato da un dialogo su scienza, democrazia e politica fra Elena Cattaneo e Gustavo Zagrebelsky, il giornalista Leonardo Petrocelli della Gazzetta del Mezzogiorno intervista la senatrice sui temi discussi durante il Festival e sul rapporto tra scienza e politica.
Ecco l’intervista di Leonardo Petrocelli a Elena Cattaneo.
Senatrice Cattaneo, celebre per le sue ricerche sulle cellule staminali, ieri al Festival della Scienza di Fasano. Quanto incide sul buon funzionamento della democrazia la valorizzazione, documentata, delle competenze?
Accompagnare le decisioni politiche con un processo che parta delle evidenze disponibili, definito appunto “evidence-based policy making”, sarebbe utile alla buona salute della nostra democrazia. Infatti il metodo scientifico è un argine contro decisioni irrazionali e “controproducenti”, ma anche contro i cedimenti a pregiudizi ideologici cui i decisori politici sono soggetti tanto quanto i cittadini, ci permette di avvicinarci a quello che non capiamo e aiuta a correggere le contraddizioni. L’insieme di una cittadinanza attiva, una classe dirigente, politica e amministrativa ben preparata e un solido corpo accademico rappresentano una potente assicurazione per il buon funzionamento del processo democratico.
Dalla campagna no vax, alle terapie improprie, all’idolatria del biologico. Il dibattito è mutato. Imputa a qualcuno la responsabilità del cambio di narrazione?
Esiste un parallelo tra la ricerca “a tesi”, volta solo a confermare una teoria, senza tener conto dei dati contrari, con metodi superficiali, senza un’idea del “dopo”, senza controlli, che getta discredito sull’intera comunità degli scienziati, e la demagogia in politica, che, per ottenere un consenso tanto vasto quanto superficiale, fa leva su paure e luoghi comuni piuttosto che su studi approfonditi, dati verificati e prove: entrambe possono cancellare in pochissimo tempo anni di progressi. Le neuroscienze cognitive spiegano che i nostri impulsi sono dettati da un passato evolutivo che ci ha visti abbandonare le caverne e la vita tribale da relativamente pochissimo tempo: il nostro cervello è plasmato sul garantirci (anche cedendo a paure irragionevoli) una sopravvivenza immediata in un ambiente ostile, non su quanto bene e approfonditamente comprendiamo la realtà.
In altre parole?
Le tecniche di propaganda, da chiunque promosse, sfruttano questi impulsi per accrescere il consenso su politiche demagogiche che possono diventare molto pericolose, per questo è importante essere consapevoli dell’imperfezione del nostro modo di ragionare, in modo da riuscire a tenerla sotto controllo.
Eppure cedere alla “dittatura della competenza” non rischia di minacciare diritti acquisitivi come il suffragio universale? C’è chi, come Grillo, non vuol far votare gli anziani…
Ai cittadini, prima di pensare a pericolose limitazioni al diritto di partecipare attivamente alla vita pubblica vanno dati, con un impegno rafforzato nell’istruzione scolastica e nella formazione continua, gli strumenti e le competenze con cui concorrere consapevolmente alla decisione politica.
Quindi, niente studiosi sul piedistallo?
Rispetto al ruolo degli studiosi ritengo che non vi debba essere nessun principio di autorità immutabile, nessun modello precostituito calato dall’alto e ritenuto “migliore” una volta per tutte, ma un patto di fiducia che si rinnova di volta in volta tra chi studia un fenomeno senza nulla tacere o nascondere e la collettività politica e sociale che quelle evidenze è chiamata, senza diffidenze, a conoscere e indirizzare.
La Xylella è forse un caso di scuola che lei utilizza spesso come esempio. Cosa dimostra questa vicenda e, soprattutto, ritiene che ora la barra sia finalmente a dritta dopo anni persi tra stregoni e politiche inesatte?
Come per il “caso Stamina”, anche in questo caso teorie non comprovate da dati scientifici accertati, ma in qualche modo “rassicuranti” per le popolazioni coinvolte dall’emergenza Xylella, sono state trattate come se fossero ugualmente valide rispetto all’orientamento espresso dalla comunità scientifica sulla base di studi metodologicamente corretti. Bisogna ricordare che, in tutti i casi nei quali la ricerca di consenso immediato confligge con le indicazioni provenienti dalla comunità scientifica, non possiamo mai ritenerci fuori pericolo: il rischio di un deragliamento della politica da fatti e prove scientificamente accertati è sempre dietro l’angolo.
Siamo in piena “onda verde” dopo l’exploit di Greta all’Onu. Si parla di Green new deal e svolta ambientalista. Concorda con i toni enfatici dell’emergenza e, soprattutto, quali sono i rischi che si celano dietro un ecologismo nato su una spinta “emozionale”?
Trovo positivo che molte persone, soprattutto giovani, si preoccupino per il futuro della nostra specie e si mobilitino per migliorare la sostenibilità del modo in cui viviamo sul nostro pianeta, ma è opportuno che la mobilitazione si accompagni a una conoscenza quanto più possibile approfondita delle sue ragioni. Bisogna essere consapevoli della complessità della materia e dei riflessi sui singoli Paesi (e sui singoli cittadini) di ogni scelta compiuta in nome del benessere generale. Ancora una volta, l’antidoto ad una semplificazione estrema tipica di un modo di pensare populista e demagogico è a mio avviso l’educazione al metodo scientifico, che abitua a mettere in discussione continuamente anche e soprattutto le idee e le teorie a cui siamo più affezionati.
Ha votato la fiducia al governo giallorosso in nome della stabilità. Ancora persuasa della bontà della scelta?
È trascorso troppo poco tempo perché abbia senso fare un “bilancio” di quella scelta; tuttavia, ricordo che, come ho detto in Aula in quell’occasione, la mia fiducia non è stata un “atto di fede” incondizionato, né un voto politico organico alla maggioranza. La decisione di rinnovarla o meno sarà legata di volta in volta ai singoli temi, alla credibilità e al rigore scientifico che il Governo assumerà nell’esercitare la sua funzione, ad esempio non avallando con risorse pubbliche pratiche mediche prive di base scientifica oppure pratiche agricole fondate sull’esoterismo o sulle favole, belle ma impossibili.
Infine, la Manovra è alla stretta finale. Chiede uno sforzo in più per formazione e ricerca?
Una politica della ricerca che garantisca fondi consistenti, certi, assegnati in base a procedure omogenee e a scadenze regolari non si costruisce dall’oggi al domani, in una singola manovra finanziaria, ma va implementata in anni di lavoro e mantenuta in salute da istituzioni consapevoli del valore della formazione e della ricerca per tutti i settori della vita pubblica di un Paese. A livello internazionale esistono delle best practice che i ministeri coinvolti nel finanziamento dell’attività scientifica potrebbero cominciare ad adottare, ma soprattutto, la maggior parte dei Paesi europei si è dotata di un’Agenzia della ricerca, una “casa di cristallo” attraverso cui vengono emanati i bandi ed erogati i fondi. Mi impegnerò soprattutto perché, in futuro, non un euro pubblico destinato alla ricerca sia assegnato senza regolari procedure competitive, libere, aperte e trasparenti.
A questo link è possibile consultare e scaricare l’intervista in formato PDF.