Nel suo editoriale su D di Repubblica di sabato 19 novembre, la Senatrice Cattaneo racconta un fenomeno sempre più frequente durante la conversione di decreti-legge in Parlamento, ossia le modifiche ultronee introdotte all’ultimo momento, senza una responsabilità rintracciabile e spesso all’insaputa di gran parte dei parlamentari, in emendamenti e testi di legge che trattano di tutt’altro.
Ecco l’articolo della Senatrice Cattaneo:
Mentre scrivo, manca poco al momento in cui il nuovo Parlamento sarà impegnato in uno dei più importanti e impegnativi appuntamenti legislativi, la legge di Bilancio. Consuetudine vuole che venga votata gli ultimi giorni dell’anno – anche se una buona prassi suggerirebbe di farlo prima – e che sia seguita a breve distanza dal cosiddetto decreto Milleproroghe, con cui differire l’efficacia di determinate norme nelle materie più disparate o posticiparne l’entrata in vigore. I lavori sulla Legge di Bilancio e sulle leggi di conversione dei decreti-legge (attività prevalente delle Camere) sono di solito particolarmente concitati; campo utile, perciò, per quelle “manine” che lavorano per far approvare, inosservate, norme sottratte ad ogni discussione pubblica. Complici la notte, il dover continuare i lavori a ritmo serrato anche nei giorni festivi e la sostanziale inconoscibilità dei testi definitivi (al di fuori di una ristrettissima cerchia di funzionari e dei senatori fisicamente presenti), queste “aggiunte”, introdotte sotto l’etichetta di “riformulazioni”, vengono approvate e offerte all’opinione pubblica come fatti compiuti, spesso nella sorpresa di parte dei parlamentari stessi. Norme mai discusse, inserite in leggi omnibus, a cui a mo’ di treno merci si aggiunge un vagone, un comma avulso dal contesto, della cui esistenza e finalità è a conoscenza, in fase di votazione, solo chi l’ha concepito e promosso.
Non mancano esempi, anche recenti, di provvedimenti che finiscono per disciplinare anche temi del tutto estranei alla legge in cui vengono inseriti, o per includere norme alla cui origine è impossibile risalire. Il 20 settembre scorso, a cinque giorni dalle elezioni, il Senato ha votato in terza lettura il decreto-legge “Aiuti bis” per “correggere”, cancellandola, una norma che la stessa assemblea aveva approvato appena una settimana prima, all’insaputa – pare – persino del senatore che aveva proposto l’emendamento nella sua formulazione originaria. Una norma che avrebbe introdotto, in un decreto nato per contrastare gli effetti economici della crisi internazionale, una deroga al tetto degli stipendi delle cariche di vertice delle Forze armate, delle Forze di polizia e delle pubbliche amministrazioni. Fra le (tante) cose che ho imparato in questi nove anni in Senato c’è anche che ciò è possibile perché chi inserisce la norma “intrusa” a pochi giorni dalla scadenza del decreto-legge ha la matematica certezza che l’altro ramo del Parlamento non potrà che approvare in blocco il testo con voto di fiducia, senza modifiche, per non correre il rischio di far decadere l’intera disciplina a causa della scadenza dei termini.
In quell’occasione, in cui eccezionalmente il Senato si è riunito al solo fine di eliminare quella norma, intervenendo in Aula, mi sono rivolta ai colleghi presenti ma anche a quelli futuri, chiedendo di mettere fine a questa prassi irresponsabile dell’aggiunta di “norme senza padri”; una prassi legislativa a mio avviso mortifera per la funzione parlamentare e tossica per la democrazia, nel momento in cui rende di fatto impossibile al cittadino capire esattamente “chi” propone “che cosa”. La funzione parlamentare di ciascuno ne risulta compromessa, così come sono ostacolati la libertà e il potere del cittadino di premiare con il proprio voto e la propria fiducia un partito, una personalità piuttosto che un’altra in base al lavoro svolto. Far venire meno questa libertà vuol dire rompere il patto fiduciario tra cittadini ed eletti. Gli appuntamenti legislativi di fine anno saranno, per la maggioranza e per l’opposizione, il primo banco di prova della volontà di cominciare a ricostruirlo.
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