Nel suo editoriale su D di Repubblica di sabato 9 settembre, Elena Cattaneo torna sulla questione della carne coltivata, spiegando il meccanismo comunicativo del fear-mongering, teso a creare ad arte, nel pubblico, timori e paure verso pericoli in realtà inesistenti, per poi accreditarsi come risolutori.
Di seguito l’editoriale della senatrice Cattaneo.
“Mangereste o berreste mai qualcosa che provenisse da un “bioreattore”? D’impulso, spaventati da un termine poco familiare, molti – scuotendo la testa – si affretteranno a rispondere di no, magari specificando che in casa loro si mangia solo “naturale”, meglio se Made in Italy. Di idee analoghe doveva essere il Ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, quando in Senato, lo scorso luglio, nell’accorata difesa della legge che farà della nostra nazione l’unica al mondo a vietare produzione e vendita della carne coltivata, guardandomi, affermava categorico: “Se qualcuno può produrre cibo anche nei bioreattori, non lo fa in questo Paese in cui rispettiamo i diritti dei lavoratori e la sostenibilità ambientale”.
Un Ministro alfiere della nostra sovranità alimentare dovrebbe però sapere che tutti noi (lui compreso) ogni giorno in Italia beneficiamo – senza danno per “lavoratori e ambiente” – dei bioreattori consumando ottimi yogurt, formaggi, birre e vini. Alimenti ed eccellenze del nostro Paese che, al pari della carne coltivata, sarebbero impossibili da produrre senza un periodo di permanenza in contenitori che – poiché all’interno vi avviene una reazione di fermentazione – sono nient’altro che “bioreattori”. Spesso, peraltro, a loro volta prodotti da imprese italiane leader mondiali del settore.
Sollevare di fronte al cittadino non esperto il timore per rischi inesistenti, utilizzando toni e parole che tendono ad allarmare, fa parte della strategia comunicativa del fear-mongering: si risveglia e alimenta l’istinto della paura per poi porsi come gli unici baluardi in grado di contrastare quei pericoli inventati. Un modo “antico” di governare la società, usando informazioni distorte e menzogne per creare narrazioni semplici, efficaci ma false, volte a colpire in maniera rapida e permanente il nostro cervello, che, complice la sua storia evolutiva, tende ad attivarsi istantaneamente in reazione a un potenziale pericolo.
In “Storia delle nostre paure alimentari” (ed. Aboca, 2023), il prof. Alberto Grandi racconta come in Europa nel Medioevo abbia imperversato l’ossessione per la “lebbra suina”, tacciata di causare la lebbra nell’uomo. Per decenni, medici, pubblici ufficiali e governatori si sono prodigati a identificare i sintomi di questo morbo nei maiali, a sequestrare partite di carne, a sopprimere migliaia di capi. Peccato che la “lebbra suina” non sia mai esistita: ogni azione e precauzione per contrastarla non aveva alcuna giustificazione pratica se non quella di rassicurare il popolo dimostrando che i pubblici poteri erano “attivi e reattivi” nel proteggerlo. La realtà dei fatti era l’elemento sacrificabile – condizione che oggi, nelle democrazie avanzate, andrebbe considerata inaccettabile.
Da allora, scienza e tecnologia hanno fatto passi da gigante, assicurando longevità e benessere a una parte sempre più ampia della popolazione mondiale; eppure, specie quanto si parla di innovazioni in ambito alimentare, il fear-mongering, l’allarmismo ingiustificato e spesso interessato, è all’ordine del giorno.
Nel mondo la ricerca sulla carne a base cellulare sta procedendo spedita e le agenzie regolatorie di vari Paesi, tra cui la FDA negli Stati Uniti, hanno dato il nulla osta alla vendita e al consumo di alcuni specifici prodotti. Da noi invece governo e parlamento, anziché studiare e capire come governare l’introduzione di una innovazione dal potenziale rivoluzionario, si sono affrettati a vietarla, sull’onda di una massiccia campagna di disinformazione promossa da una grande confederazione agricola volta più a diffondere e alimentare, tra cittadini e decisori pubblici, paure immotivate per questi prodotti che a spiegare cosa consistano. Il Senato si è già espresso a favore del divieto. Se la Camera confermerà questo voto, l’Italia sarà condannata al ruolo di importatore netto di prodotti che, se autorizzati dall’UE, non potranno essere bloccati alle nostre frontiere.
In dieci anni in Senato ho visto alternarsi sette governi e assistito a numerosi dibattiti che toccavano innovazione, scienza e pseudoscienza: tra questi, la sicurezza degli Ogm, il contenimento della Xylella, le vaccinazioni, la (quasi) consacrazione dell’agricoltura biodinamica. Dibattiti a tratti surreali che sembrano procedere ogni volta secondo lo stesso copione, restituendo l’immagine di un Paese che ha un problema a guardare al futuro e a ancorare le decisioni collettive alle evidenze scientifiche disponibili. Un’immagine che non rende giustizia agli italiani e mortifica il talento, la competenza, l’impegno e la passione di chi vorrebbe vedere il proprio Paese alla guida, e non alla rincorsa, del treno dell’innovazione”.
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