In occasione della sua partecipazione all’evento conclusivo del festival di Salute organizzato dal gruppo editoriale Gedi a Roma tra il 12 e il 14 ottobre, Elena Cattaneo firma su La Stampa una riflessione sui concetti indispensabili alla comprensione della realtà che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni cittadino.
Di seguito, l’articolo della senatrice Cattaneo.
Ogni lingua ha una grammatica che è necessario conoscere per costruire e comprendere le parole e dare loro un senso compiuto. Allo stesso modo la scienza ha una propria sintassi con cui comunica ciò che scopre e studia. Mi riferisco a concetti fondamentali, metodi e processi che fanno parte di una “cassetta degli attrezzi” che dovrebbe essere disponibile a ogni cittadino per orientarsi nel mondo e non cadere vittima delle narrazioni della pseudoscienza. Tra questi posso citare la comprensione degli ordini di grandezza, delle probabilità, della differenza tra rischio e pericolo, o tra correlazione e causalità, fino alla logica e matematica di base. Questi strumenti cognitivi, necessari all’articolazione di ogni discorso razionale, risultano presupposti essenziali di ogni tipo di ragionamento scientifico. La fiducia nella scienza (soprattutto biomedica) passa attraverso la diffusione tra i cittadini di questi “utensili” cognitivi; meno si ha confidenza con essi, più gli individui e le società rischiano di trovarsi in balìa di narrazioni avulse dalla realtà.
Purtroppo queste competenze non sono innate né intuitive. Le neuroscienze cognitive e l’economia comportamentale, infatti, ci ricordano che siamo meno razionali di quel che supponiamo. Spesso il modo in cui costruiamo le nostre scelte è dettato da un passato evolutivo che ha modellato i meccanismi del nostro cervello da quando, nel Pleistocene, l’umanità divisa in piccole tribù viveva tra grotte e savane, costantemente in pericolo di vita. La capacità di prendere decisioni semplici e veloci, guardando solo all’immediato, era vantaggiosa in quel tempo, ma è molto meno adatta ad un’epoca storica in cui la sopravvivenza è garantita e le reti sociali sono molto più estese e connesse, mentre la complessità delle decisioni è infinitamente aumentata.
Per orientarci tra questa miriade di collegamenti che il nostro cervello è (ancora) inadatto a gestire, serve una “bussola” che, tenendo conto della nostra imperfezione, ci aiuti a compiere scelte razionali e motivate. Per imparare a farlo serve un allenamento pressoché continuo che inizia da una robusta istruzione scolastica e prosegue – questo è l’auspicio – per tutta la vita.
A tal fine, anche i soggetti estranei alla filiera istituzionale di istruzione e formazione, a partire dai media vecchi e nuovi, non dovrebbero mai rinunciare al tentativo di mettere in condizione i cittadini di comprendere la complessità della scienza, anche a costo di rinunciare a slogan o “titoloni” ad effetto. Nell’informazione, ancor più se scientifica, nulla si può dare per scontato, né risulta utile alla comprensione comunicare una scoperta senza raccontare il lungo percorso che è servito a costruirla: bisogna saper descrivere la bellezza della conquista, ma anche la fatica, gli errori e i fallimenti che ci sono dietro. Bisogna saper spiegare che le vie della scienza spesso non sono lineari e che i suoi tempi sono imprevedibili, quasi sempre più lunghi di quanto ci suggerisca il pensiero intuitivo. Ci vuole tempo, perché quelle strade sono “piene” di studio, esperimenti, prove da rendere pubbliche, in modo codificato, così che altri le possano riprodurre e da lì continuare a studiare e scoprire.
Durante la pandemia, dalla scienza si sono pretese certezze veloci e dogmatiche quando era impossibile averle, per poi rifiutare con sospetto e ostilità i vaccini a mRna: una scoperta talmente eccezionale da guadagnarsi in tempo record un premio Nobel, quello conferito lo scorso 2 ottobre alla studiosa ungherese Katalin Karikó e al collega americano Drew Weissman.
Se anche di fronte ad una delle più impattanti scoperte scientifiche del nostro tempo, come quella sul vaccino anti-Covid, persistono il sospetto e l’ostilità è perché in un’ampia fetta della popolazione mancano gli strumenti fondamentali per distinguere i fatti dalle opinioni, la scienza dalla pseudoscienza, le ipotesi dalle evidenze. Allo stesso modo qualunque appello alla comprensione e all’umanità è destinato a fallire in assenza di una basilare “grammatica” dei sentimenti, del riconoscimento reciproco, della democrazia.
Se saremo capaci di diffondere la grammatica della scienza, sarà la stessa società a permettere alla conoscenza, ogni giorno esplorata e condivisa per tutti, di “salvare il mondo”.
A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.