Nella sua rubrica su D, il settimanale del sabato di Repubblica, la Senatrice Cattaneo spiega perché, da un punto di vista scientifico, la ricerca sulle cellule staminali potrà rappresentare, un domani, una speranza di trattamento per alcune malattie, ma non per altre.
Così Elena Cattaneo su D:
“Le bronchioectasie sono una malattia dell’apparato respiratorio che danneggia in modo irreversibile le pareti dei bronchi. Eva (il nome è di fantasia) ne è affetta e un suo familiare mi scrive dopo aver letto un mio articolo in cui parlavo delle possibilità di trapianto sostitutivo offerto dalle staminali, chiedendomi se queste cellule possano rappresentare una speranza anche per questa patologia. Ricevo molti messaggi simili, su malattie e situazioni diverse, spesso tragiche. Solitamente rispondo prima che arrivi notte. Rispondo anche quando mi vedo costretta a spiegare – come nel caso descritto – che le staminali, per quella patologia, non sono indicate, non c’è alcuna base d’applicazione, né ricerca in corso.
Sono vent’anni che si fanno studi sulle staminali con l’idea di impiegarle nella medicina rigenerativa. L’Italia è forte nel campo e il primo farmaco autorizzato a base di staminali nel mondo occidentale è “made in Università di Modena e Reggio Emilia”. Dalle embrionali possiamo ottenere (quasi) ogni cellula specializzata dell’organismo. In laboratorio le istruiamo per produrre quella specifica persa in una malattia, così da “sostituirla”. Con le staminali adulte possiamo generare lembi di tessuto (vale per pelle e cornea). Ma ci sono requisiti precisi che una patologia deve soddisfare per poterne anche solo ipotizzare il trattamento con staminali. Questi dipendono dal tipo di malattia, dal tipo di tessuto colpito, dall’estensione del danno, dalla conoscenza, numerosità e tipologia delle cellule che necessitano di “sostituzione”.
Una malattia del cervello caratterizzata dalla degenerazione di una sola tipologia di neuroni avrà più possibilità di essere affrontata sperimentalmente rispetto a malattie in cui ne muoiono di diversi tipi. Questo perché in laboratorio si deve disporre della tecnica adatta per convertire la staminale nella cellula desiderata. È già difficile ottenerne di un solo tipo. Il numero di cellule che degenerano, quindi da sostituire, deve poi essere contenuto in un ordine di grandezza limitato. Un milione è un numero congruo, un miliardo no. La degenerazione deve interessare un’area circoscritta e definibile e non ampie aree o organi. Infine, le nuove cellule inserite non si devono a loro volta ammalare.
Questi requisiti riducono di molto il numero di malattie che possono qualificarsi per essere trattate, un domani, con staminali. Ad esempio, spiegano perché le staminali per il Parkinson possono avere un futuro che invece non ci sarà (probabilmente) per l’Alzheimer. Le due malattie neurodegenerative hanno infatti caratteristiche molto differenti.
L’Alzheimer colpisce diversi tipi di neuroni. Impossibile oggi immaginare di ottenerli tutti dalle staminali. Nel Parkinson, invece, a degenerare sono solo i neuroni di tipo dopaminergico. Nell’Alzheimer poi muoiono neuroni in quasi tutto il cervello. Si dovrebbe “bucare” il cervello ovunque per aggiungerne. Nel Parkinson, a morire sono “solo” un milione di neuroni (di quell’unico tipo) in un punto preciso. Ecco perché gli studi con le staminali per il Parkinson continuano ad avanzare con risultati straordinari nei modelli animali e il prossimo passaggio all’uomo.
L’Huntington, che studiamo nel laboratorio che coordino alla Statale di Milano, ha caratteristiche ancora differenti: degenera un solo tipo di neurone, ma di quel tipo se ne perdono a milioni che sono diffusamente distribuiti in una parte del cervello. Questo non ci ferma, perché ci sono forti basi teoriche. Ora servono prove. Chili di prove. Per ottenerle continuiamo a lavorare, senza cercare scorciatoie e senza perdere la speranza”.
A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.