Il 24 gennaio 2018, sulla rivista Cell, un gruppo di ricercatori del Chinese Academy of Sciences Institute of Neuroscience di Shanghai pubblica un paper in cui descrive la clonazione di due scimmie con la stessa modalità della pecora Dolly. La senatrice Cattaneo, in un articolo su Repubblica, riflette sulle responsabilità che le nuove scoperte implicano per la comunità scientifica.
Così la senatrice Cattaneo su Repubblica:
Il risultato pubblicato su Cell dai ricercatori di Shanghai ha implicazioni molto tecniche: al momento è difficile valutarne portata e interesse scientifico. L’idea che modelli animali del tutto uguali tra loro, quindi clonati, siano un vantaggio per la ricerca è molto interessante ma al contempo ha lo svantaggio di escludere la variabilità genetica di ciascuno. Resta l’evidenza di una tecnica che, partendo dalla pecora Dolly, è stata provata con successo su animali di piccola e grossa taglia, dai topi ai tori, e oggi, con la scimmia, trova un’ulteriore conferma sperimentale di praticabilità.
Qualcuno si potrebbe chiedere: che bisogno c’era di provare che è possibile clonare delle scimmie? Dal punto di vista della scienza, interrogarsi sul bisogno o sull’utilità pratica di una nuova conquista tecnologica, di un nuovo avanzamento conoscitivo è una domanda mal posta: effetti e utilità di una ricerca spesso si chiariscono a posteriori. Quando nel 2005 i ricercatori descrivevano uno dei batteri dello yogurt, era inimmaginabile che quanto osservato, dieci anni dopo, sarebbe diventato il più potente strumento di modifica del DNA, il CRISPR-CAS9.
Sull’utilità e l’eticità di una ricerca scientifica costruita su solide basi metodologiche e tecniche sono coinvolti, su più livelli di responsabilità, chi fa la ricerca, chi la valuta e il comitato etico che vigila sulla sua appropriatezza.
Vi è poi la responsabilità della comunità scientifica tutta nell’essere il primo controllore e il massimo interprete della capacità di rendere conto del lavoro dei ricercatori anche di fronte ad un pubblico non esperto, spesso spaventato da scoperte che non capisce: se le spiegazioni non vengono dalla scienza, arriveranno da altri, pronti a travisare giocando su paure o sensazionalismi o, peggio, privi di scrupoli nel piegare i fatti all’ideologia. Nella scienza non esiste il principio di autorità, ma è il metodo a determinare (pubblicamente) la validità o meno di ciò che viene fatto. Questo procedimento garantisce che, nella costruzione della fiducia, tutti gli attori siano chiamati in causa.
La scienza va avanti, non fermarsi mai ma cercare sempre nuovi traguardi è implicito nel suo metodo, e si illude chi pensa che sia ancora possibile bloccare la ricerca ai confini nazionali o imporre moratorie che, peraltro, soprattutto in Paesi in cui lo Stato di diritto e la democrazia sono labili se non assenti, rischiano, come tutti i proibizionismi, di lasciare campo libero a “corsari delle regole” pronti a sottrarsi ad ogni controllo. Nella scienza, “etica” non è moratoria dalla conoscenza ma trasparenza del metodo, visibilità dei risultati e controllo diffuso, nell’interesse di tutti. Oggi, con il rafforzarsi di comunità scientifiche prima assenti, dobbiamo essere pronti a lavorare in modo sempre più integrato anche gettando ponti tra culture molto diverse.
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