Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
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La buona spesa senza sensi di colpa – Da D di Repubblica del 19 settembre 2020

Nel suo editoriale sul settimanale D di Repubblica, Elena Cattaneo sottolinea come il maggiore costo al consumo degli alimenti biologici non sia, ad oggi, giustificato da alcun dato scientifico che li certifichi come “migliori” per la salute o per l’ambiente.

Di seguito, l’articolo della senatrice Cattaneo.

“Più 453%, più 131%, più 79%. È il costo di quanto finocchi, zucchine e carote biologici possono arrivare a “pesare” in più nel conto della spesa. Numeri senza valore statistico, frutto dei miei calcoli mentre facevo la spesa al supermercato qualche tempo fa, ma indicativi di una dinamica evidente.

Trovare che i prodotti con l’etichetta “bio” hanno un prezzo doppio o triplo rispetto agli altri è esperienza abbastanza comune a chi, in famiglia, per la spesa si rivolge alla grande distribuzione.

Se potessimo credere alle “favole” di associazioni, politici e portatori di interesse che continuano a promuovere il bio come soluzione a malattie ed inquinamento, i sacrifici per quegli euro in più sullo scontrino sarebbero giustificati da un fine grande e nobile: la protezione della salute e dell’ambiente. Ma, appunto, di favole si tratta e molto ben confezionate.

La scienza ci aiuta a tornare con i piedi per terra: un recente articolo pubblicato sulla rivista Nutrients, che ha confrontato più di 500 alimenti confezionati bio e no, conclude che “la certificazione biologica non può essere considerata un’indicazione di migliore qualità nutrizionale”. Se non fosse così, d’altronde, difficilmente le “Linee di indirizzo nazionali per la ristorazione ospedaliera assistenziale e scolastica” del Ministero della Salute affermerebbero che “il cibo da coltivazione biologica non ha un migliore profilo nutrizionale e non è quindi più salutare rispetto ai prodotti non coltivati secondo tale metodo”.

Se qualcuno si illudesse che, almeno, per produrre quei cibi bio non si usano pesticidi, rimarrebbe deluso: anche le coltivazioni biologiche se ne avvalgono, e il fatto che non siano “di sintesi” non serve a renderli meno pericolosi per l’uomo e l’ambiente (basterebbe leggere le etichette, o anche solo guardare le illustrazioni sulle confezioni dei prodotti). Per non parlare delle deroghe che rendono possibile, in alcuni casi, anche usare in bio gli stessi prodotti di sintesi convenzionali.

Di sintesi o naturali, possiamo comunque mangiare tranquilli. Le Linee guida per una sana alimentazione del 2018 del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura CREA, infatti, sottolineano che “nel complesso, la preoccupazione dei consumatori italiani relativamente all’esposizione da residui di fitofarmaci è eccessiva rispetto al rischio effettivo”. Non a caso, il recente rapporto del Ministero della Salute sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti in Italia relativo al 2018 segnala che, su oltre dodicimila campioni analizzati, il 99,2% dei prodotti risulta regolare, con una percentuale di irregolarità dello 0.8%, inferiore alla media europea (2,5%).

La scelta di consumare bio rimane del tutto libera, così come quella di coltivarlo. È a chi, senza alcun riscontro nella realtà, lo promuove come migliore per salute e ambiente che suggerisco di tener conto, alla luce delle evidenze disponibili, anche dei discutibili risvolti etici di una certa narrazione. Quante famiglie con una capacità di spesa limitata, indotte a credere nella “favola” che solo chi compra bio ha a cuore la salute dei propri figli e la tutela dell’ambiente, per far quadrare i conti acquisteranno meno frutta e verdura – che invece, bio o no, vanno consumate in abbondanza per il dimostrato effetto positivo per la salute – o rinunceranno ad altre spese?”

(A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF)