Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
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Io, in aula per Regeni, voglio verità e giustizia – Da La Stampa del 18 settembre 2024

In vista della ripresa del processo Regeni, la senatrice Cattaneo su La Stampa racconta di aver assistito ad una delle precedenti udienze in cui alcune testimonianze mettevano in risalto il valore di Giulio Regeni come studioso e accademico.

Ecco l’articolo di Elena Cattaneo:

“Domani riprenderà a Roma il processo per l’omicidio di Giulio Regeni. Un processo eccezionale già dalle motivazioni della sentenza con cui la Corte costituzionale ne ha permesso lo svolgimento nonostante l’impossibilità di notificare il procedimento agli imputati, i quattro agenti della sicurezza nazionale egiziana rinviati a giudizio per avere, a vario titolo, sequestrato, torturato e poi brutalmente ucciso Giulio. Ed è stato proprio per accertare il reato universale di tortura che il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, ha dato impulso alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420bis del codice penale che impediva lo svolgimento del processo in assenza dell’imputato.

A seguito della sentenza, in Italia non è più ammessa quell’odiosa forma di impunità per i delitti di tortura commessi da agenti pubblici protetti dalla mancata cooperazione dello Stato di appartenenza. La Consulta ha chiarito che non è accettabile – per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale – lasciare una “zona franca” di impunità per i cittadini-funzionari imputati di atti di tortura. Diversamente, si finirebbe con l’offendere i diritti inviolabili della vittima, il principio di ragionevolezza e gli standard di tutela dei diritti umani recepiti e promossi dalla Convenzione di New York contro la tortura. Lo scrive la Corte, ma è anche un lascito di civiltà giuridica e umanità che dobbiamo a Giulio.

I genitori, Paola e Claudio, saranno come sempre in aula, immancabili e tenaci, con le spille gialle che chiedono “verità per Giulio”. Accanto a loro, l’instancabile avvocata Alessandra Ballerini. Nel mese di luglio, anch’io ho scelto di assistere a una delle udienze, innanzitutto perché ritengo istituzionalmente doveroso mantenere alta l’attenzione sul processo e garantire una vicinanza a questa famiglia che da anni sta tentando di ristabilire uno dei principi su cui si basa la nostra democrazia, vale a dire la libertà di ricerca (anche della verità storica), di studio, di movimento. Ma l’ho fatto anche perché ho sempre avuto ben impresse nella mente le parole di Giulio nel video fatto a sua insaputa dal capo del sindacato degli ambulanti e diffuso dopo la sua tragica uccisione. In quella registrazione lo si sente dire: “Sono un accademico; sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca; non ho altri interessi”. Nel pronunciare quelle parole, Giulio stava difendendo i valori di onestà e indipendenza senza i quali non potrebbe esistere la ricerca scientifica.

Partecipare a quell’udienza ha confermato l’idea che avevo di lui: un ricercatore curioso e determinato, sinceramente appassionato dei suoi studi. Mi è stato chiaro sia ascoltando i racconti di Giulio bambino, poi ragazzo, dalla voce della madre Paola, sia grazie alla testimonianza del comandante del Reparto Anticrimine dei Carabinieri Onofrio Panebianco (all’epoca colonnello dei ROS) che, nel riportare al pm Sergio Colaiocco intercettazioni telefoniche e documenti utili a ricostruire i fatti avvenuti nei giorni precedenti il sequestro, ha letto una mail che Giulio Regeni aveva inviato a Gennaro Gervasio, suo amico e allora docente alla British University del Cairo.

Nella mail, Giulio commenta un film che avevano visto insieme qualche giorno prima. Il comandante Panebianco non riferisce il titolo ma riassume la trama: il film raccontava la storia di un gruppo di operai di un distretto del Cairo e riguardava il tema dei diritti dei lavoratori. “Un film impegnato”, ha precisato e poi, riflettendo sullo scambio di valutazioni tra Giulio e l’amico, aggiungeva: “non stiamo parlando di ragazzini… queste persone parlano di cose, da un punto di vista culturale, molto elevate”. Nel testo del messaggio, letto in aula dal comandante, Giulio parlava di parallelismi storici, condivideva le sue riflessioni sul marxismo, citava gli autori della letteratura sulla rivoluzione. Panebianco, colpito dalla profondità del pensiero di Giulio, ha concluso: “si vede che stanno parlando due accademici”.

Impossibile rimanere indifferenti a quelle parole che descrivono Giulio in modo diverso da quello in cui siamo stati abituati a ricordarlo, cioè “solo” come la vittima innocente di una brutalità di stato cieca e insensata. Quelle parole riconoscono in Giulio l’accademico, lo studente appassionato che era arrivato al Cairo con un’idea, tradotta in un progetto di ricerca sugli ambulanti egiziani e con l’ambizione di poterlo portare avanti, vincendo, in competizione con altri, i fondi che gli avrebbero permesso di proseguire nelle sue ricerche. Giulio lo studioso, che era andato sul campo, tra la gente, che non aveva percepito il pericolo tanto era concentrato su ciò che voleva scoprire, convinto –come immagino ogni ricercatore – che i risultati di quel suo studio avrebbero portato dei vantaggi a tutti, permettendo di conoscere e comprendere una realtà sociale complessa e lontana dal nostro “fortunato” Occidente. Magari avrebbero comportato una denuncia, un cambiamento. E, perché no, la conquista di nuovi diritti.

Chi decide di dedicare la propria vita alla ricerca sa bene che si tratta di un impegno senza fine, senza tempo, fino al raggiungimento di un nuovo traguardo di conoscenza. Facciamo in modo che sia senza fine anche il sostegno della comunità accademica, delle istituzioni e della società tutta, per Paola e Claudio e per la loro ricerca di verità e giustizia per Giulio. Il traguardo, una volta raggiunto, sarà di verità e giustizia anche per noi”.

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.