Dopo il proprio intervento in Aula al Senato per esprimere il proprio voto contrario al disegno di legge sulla “mototerapia” (ossia un’attività ricreativa che consiste nel portare in motocicletta bambini sofferenti di varie malattie o disturbi del neurosviluppo, e ad altre persone in condizioni di fragilità), Elena Cattaneo scrive un articolo su La Stampa per spiegare la pericolosità della tendenza a legiferare senza tener conto delle evidenze scientifiche.
Ecco l’articolo della senatrice Cattaneo.
Lo scorso 20 novembre il Senato ha dato il via libera definitivo alla legge sulla cosiddetta “mototerapia”. Una legge-spot che introduce nell’ordinamento una pratica priva di alcuna evidenza scientifica, e che spaccia un‘attività ludica, come può esserlo il gioco degli scacchi o la palla, per una terapia complementare da promuovere nei reparti pediatrici del Paese.
Lo fa, incredibilmente, sulla base di un singolo articolo dal valore scientifico nullo, pubblicato sulla rivista «European journal of integrative medicine». La ricerca in sé è inconsistente: si limita alla somministrazione di un questionario – privo di misure oggettive quantitative – a 50 bambini di circa dieci anni con una malattia oncologica a cui è stato chiesto se, dopo una sessione in moto di due ore una volta al mese per sei mesi, avessero o meno dolore e quali fossero le loro emozioni; la rivista che ospita l’articolo ha un fattore di impatto che, per il settore scientifico-medico, è bassissimo (1,3 contro il 91 del «New England Journal of Medicine», che pure pubblica articoli in ambito clinico oncologico); in cinque anni dalla pubblicazione l’articolo non ha ricevuto alcuna citazione, cioè nessuno studioso (e sono centinaia di migliaia nel settore) lo ha ritenuto “utile” ai fini di sviluppi medico-scientifici; manca il gruppo di controllo, cioè non è stato verificato come si comporta un analogo gruppo di pazienti esposto ad altro intervento o attività, ad esempio l’ascolto di musica; non c’è stato follow up a distanza di tempo dal “trattamento”.
Definire “terapie” attività ricreative, anche benemerite, come ce ne sono tante (anche senza bisogno di leggi), prive di alcuna minima evidenza di beneficio alimenta confusione e false speranze.
Il mio maggiore sconforto, però, deriva dall’osservare come il Parlamento sia spesso incapace di discernere tra realtà e finzione quando legifera su temi che riguardano innovazione, scienza e medicina; peggio ancora, è incapace di attrezzarsi metodologicamente per ancorare quello su cui legifera alle migliori conoscenze disponibili.
Del resto, proprio per La Stampa, il 17 novembre dell’anno scorso raccontai come questo Parlamento, con l’adesione trasversale di gran parte delle forze politiche, avesse vietato la carne coltivata – facendo dell’Italia il campione mondiale di questo divieto – sulla base di un volantino di Coldiretti pensato solo per terrorizzare il cittadino-consumatore nei confronti di un prodotto non disponibile sul mercato.
Credo che si debba continuare a cercare, in ogni occasione, di evitare all’istituzione parlamentare e al Paese l’umiliazione di essere il luogo dove, sulla base della mera volontà di una maggioranza politica, si possa stabilire – come pure ha affermato il senatore Antonio Guidi in Aula – che “ogni tanto 1 + 1 può fare anche 3 o 4 perché dobbiamo considerare le emozioni, i sentimenti, le frustrazioni di chi ha poca, pochissima libertà di scelta”.
Ma, se il confronto parlamentare – luogo principe dell’espressione della sovranità popolare – si riducesse ad un rapporto di forza tra chi afferma che 2 + 2 fa 4 e chi sostiene invece che il risultato possa essere anche 5 o 3, a seconda di quello che conviene in quel momento, si finirebbe col compromettere totalmente la possibilità, essenziale ad una democrazia liberale, di dialogare e condividere le scelte sulle politiche pubbliche pur partendo da visioni del mondo diverse.
L’idea che una autorità politica, un’istituzione, possa fare – per qualsiasi ragione – dell’aritmetica elementare una realtà alternativa non è nuova e, anzi, è scolpita nella coscienza collettiva dalle pagine del libro distopico “1984” di George Orwell. Non a caso Winston Smith, il protagonista, nel tentativo di resistere ad una società totalitaria indottrinata e controllata da un onnipotente Partito che riscrive la storia e manipola la realtà a seconda della convenienza del momento, annota in un diario clandestino che “la libertà è la libertà di dire che 2 più 2 fa quattro. Se questa è garantita, tutte le altre seguono”.
Difendere la libertà, affermando l’evidenza e l’univocità di un risultato scientifico, è, oggi, un’urgenza che coinvolge tutti, anche a livello internazionale, a partire da quanti hanno – per merito o per sorte – l’altissima responsabilità di esercitare funzioni pubbliche.
A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.