Nel suo editoriale su D di Repubblica, Elena Cattaneo racconta un’Italia della ricerca ignota ai cittadini e alla politica, fatta di eccellenze diffuse su tutto il territorio nazionale. Eccellenze che avrebbero bisogno di strategie a lungo termine e modalità di finanziamento più stabili, trasparenti e competitive per potersi “mettere in rete” e fare da volano di rilancio per le aree svantaggiate del Paese.
Ecco l’articolo della senatrice Cattaneo.
“La Prof.ssa Monica Ghirotti che insegna Geologia all’Università di Ferrara di recente mi ha spiegato con orgoglio che i geologi italiani si collocano al secondo posto al mondo, dietro gli USA e davanti alla Cina, per gli studi sulle frane e che l’Italia è al primo posto in assoluto nello studio delle grandi estinzioni biologiche del passato. Poi, con rammarico, mi ha anche raccontato del recente crollo del numero degli iscritti ai corsi di geologia nelle università italiane. Una perdita enorme, in un Paese a rischio geologico e sismico come il nostro, probabile conseguenza dell’aver spezzettato l’insegnamento delle Scienze della Terra nei programmi delle scuole superiori.
Di fronte a scelte di politica della didattica poco consapevoli, che disperdono capacità scientifiche e culturali d’eccellenza, c’è da chiedersi se potremo mai sperare in una rinascita del nostro prezioso sistema pubblico della ricerca.
Mentre scrivo fervono i lavori per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in cui si stabilirà come l’Italia impiegherà i fondi europei della strategia Next Generation EU. Sugli investimenti per la ricerca il dibattito si è in parte orientato verso proposte che suggeriscono la nascita o la promozione di pochi centri e territori “privilegiati” su cui concentrare risorse e investimenti. Si tratta di un approccio che confligge con il metodo della scienza e ignora i talenti in ogni disciplina scientifica e umanistica diffusi nello Stivale.
Il nostro è il Paese in cui l’Università di Modena e Reggio Emilia e il San Raffaele di Milano hanno sviluppato il primo farmaco nel mondo occidentale a base di staminali e dove, grazie alle staminali e a trent’anni di ricerca, sempre nei laboratori di Modena si è riusciti a ricostruire la pelle di un bambino che ne aveva persa più dell’80% a causa di una malattia rara, restituendogli una vita normale. L’Italia è il Paese degli studiosi del CNR di Cagliari e dell’Università di Sassari, numeri uno al mondo sulla genomica; dell’università Federico II di Napoli conosciuta in tutto il mondo per gli studi sul rischio e la storia delle eruzioni del Vesuvio, oltre che per la robotica; dei ricercatori in astrofisica che hanno descritto per la prima volta i vortici ciclonici di Giove grandi come la Terra, che stazionano ai due poli del pianeta – una scoperta valsa la copertina di Nature. All’Università di Bologna, Silvia Ferrara vince un ERC per studiare, con metodo scientifico, l’origine della scrittura e la linguistica delle lingue scomparse; l’Università La Sapienza di Roma, proprio quest’anno, ha raggiunto i vertici delle classifiche mondiali grazie agli studiosi delle scienze dell’antichità. Eppure pochi, tra cittadini e politici, conoscono questa immensa ricchezza.
È necessario passare dalla teoria alla pratica, dai generici e retorici impegni a garantire ai giovani opportunità per non veder “fuggire i cervelli” alla pratica di scelte politiche conseguenti e strategiche. Nel campo della ricerca, ad esempio, ciò si traduce in una strategia che non umili le “eccellenze diffuse” ma sia per tutti garanzia di un sistema sano, libero e competitivo, in grado di riconoscerle, promuoverle, divulgarle per renderle protagoniste della ripresa economica e sociale post-pandemia. Così la preziosa varietà del sistema universitario italiano e della ricerca nel suo complesso sarà un nostro punto di forza.”
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