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Il diritto di fallire – Da D di Repubblica del 18 marzo 2023

Nel suo editoriale su “D” di Repubblica di sabato 18 marzo, la senatrice Cattaneo, partendo dal racconto della giornata “Unistem Day” organizzata per gli studenti delle scuole superiori, elabora alcune riflessioni sul ruolo del fallimento nella vita e nella carriera scolastica e lavorativa di ciascuno di noi.

Di seguito, l’articolo della senatrice Cattaneo.

“La settimana scorsa, dopo tre anni di assenza dovuti alla pandemia, abbiamo riaperto le porte dell’Università Statale di Milano per accogliere i ragazzi che hanno partecipato all’UniStem Day, uno dei maggiori eventi internazionali di divulgazione scientifica per studenti delle superiori, con 99 Università e centri di ricerca coinvolti in contemporanea in Italia e nel mondo. Migliaia di ragazzi che si avviano a terminare il loro percorso scolastico hanno incontrato ricercatori di discipline scientifiche, conosciuto i loro studi e gli “strumenti del mestiere”. Come sempre, mi sono chiesta se e quanto le passioni verso quel che studiamo siano arrivate a questi giovani; se e quanto quella giornata li abbia incoraggiati e motivati a considerare di proseguire gli studi verso la disciplina che più li attrae.

L’indagine Almalaurea “Profilo dei Laureati 2021”, dello scorso anno, segnala come “in Italia, con riferimento ai più recenti dati disponibili relativi all’anno accademico 2015/16, la quota di studenti che abbandonano i corsi universitari dopo il primo anno si attesta al 12,2% per quelli di primo livello, al 7,5% per i magistrali a ciclo unico e al 5,9% per i magistrali biennali”. Dietro questi numeri (di cui è doveroso l’aggiornamento) ci sono vite, passioni, aspettative che impongono di riflettere – per porvi rimedio, quanto più possibile – sulle ragioni per cui uno studente possa decidere di interrompere definitivamente gli studi. Mai come in questi casi, la scelta dei singoli comporta per tutti un impoverimento culturale, sociale ed economico.

Da non esperta della materia immagino che – oltre a ragioni economiche e al mancante o carente orientamento dei ragazzi in uscita dalle scuole – per alcuni la scelta dell’abbandono degli studi universitari sia dettata anche da un sentimento di inadeguatezza. Capita di iscriversi a un corso di laurea e poi accorgersi di non essere portati per quel percorso. Alcuni se ne vergognano, senza sapere che è normale, che è capitato a tanti altri prima di loro. E che si ha diritto di sbagliare nel cercare la propria strada: non si può essere sicuri a priori di quale sarà, se non provando. Su questo aspetto può incidere molto la considerazione e il racconto che come società, anche a livello mediatico, siamo soliti (non) fare del “fallimento”. Restando all’ambito della scienza, i fallimenti conseguono ai tentativi di spingersi un po’ più in là, alla frontiera di quel che siamo e sappiamo e scandiscono la vita di uno studioso ben più dei successi. Non si va avanti senza.

Ciclicamente, alcuni drammatici fatti di cronaca alimentano il dibattito su meritocrazia e competitività nello studio. C’è chi ha proposto una revisione di questi concetti, denunciandone l’uso esasperato fino ad assumere una valenza socialmente “tossica” – penso ad esempio a saggi come “La tirannia del merito” di Michael J. Sandel. Senza voler entrare in vicende personali molto più complesse di questa mia riflessione, credo sarebbe utile, a completamento dei percorsi di orientamento, ricordare a chi si affaccia alla vita adulta che immaginare un percorso di studio e carriera senza nemmeno un fallimento sarebbe un errore. Non è facile accettare gli insuccessi, né quando si è giovani e sconosciuti né quando si ha già una certa esperienza alle spalle, ma riconoscere che qualunque azione umana è soggetta a piccoli o grandi errori può servire a non drammatizzarli. Ed ecco che il risultato che si percepisce “fallimentare”, invece di condurre a sminuire sé stessi e credersi inadatti, potrà essere letto – ed è utile che lo sia – come spunto di riflessione e crescita per capire come migliorare, in cosa smettere di spendere energie e in quale direzione incanalarle.

Cercare il “luogo” giusto dove crescere le proprie passioni, aspirazioni e capacità è una delle sfide che affrontano tutti gli studenti che si affacciano all’Università. E se, lungo il percorso scelto, capiterà di fallire, non sarà un punto di non ritorno, né la fine, ma soltanto una delle tappe necessarie per imparare e riorientare le proprie scelte. Non per il bel voto o per la performance, non per la famiglia o per i follower, ma perché la misura del successo dovrebbe essere arrivare a saper fare al meglio quello che ci appassiona, mettendolo al servizio di tutti. E anni dopo, guardando indietro, potrebbe capitare di riconoscere in quel “fallimento” lo snodo più importante di tutto il nostro percorso”.

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.