Dopo aver ripreso un’inchiesta della Procura di Milano su alcune sospette manipolazioni di paper scientifici, Gianni Barbacetto del Fatto Quotidiano intervista la senatrice Cattaneo, la quale, dopo aver ricordato che è necessario conoscere tutti i documenti relativi e non solo la richiesta di archiviazione da parte della Procura, auspica uno standard giuridico uniforme europeo sulla research integrity e ribadisce come il necessario contrappeso della più ampia libertà di ricerca sia l’assunzione di ogni responsabilità ad essa correlata.
Ecco l’intervista di Gianni Barbacetto a Elena Cattaneo (la versione ridotta uscita sul quotidiano è disponibile a questo link in formato PDF).
Un’inchiesta giudiziaria della Procura di Milano ha rilevato che in alcune ricerche sul cancro sono state manipolate le immagini poi comparse su importanti riviste internazionali. È uno scandalo che rischia di gettare discredito sulla ricerca scientifica. Come lo valuta la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo?
Oggi conosciamo solo la richiesta di archiviazione della Procura, non ancora il decreto del Gip, né i documenti integrali delle difese. Il banco di prova della vicenda saranno le valutazioni, a valle delle procedure di contraddittorio, degli editori e dei board delle riviste scientifiche che riceveranno le segnalazioni delle anomalie riscontrate. “La cultura della reputazione e della vergogna”, come la definì il professor Giovanni Maria Flick in un intervento ai Lincei, è il principale strumento di cui dispone la società nei confronti dell’attività dello studioso, che trova la sua ragione d’essere nell’accountability professionale verso i pari e i cittadini. Ecco perché il ritiro di uno o più paper è una condizione grave e umiliante per uno scienziato.
I magistrati hanno concluso che le immagini sono state certamente manipolate, ma in Italia non c’è un reato che permetta di sanzionare la frode scientifica.
La scienza e i suoi risultati sono pubblici, sotto gli occhi di tutti. Eventuali manipolazioni – si tratti di superficialità, errori o modifiche intenzionali dei dati – grazie alle nuove tecnologie di indagine hanno vita sempre più breve. Nel 2013 Lancet evidenziava come in Europa solo Danimarca e Norvegia avessero una legge per prevenire o contrastare il fenomeno delle frodi scientifiche, mentre la maggior parte dei Paesi europei si è dotata di codici etici e linee guida. L’Italia è tristemente tra i pochi Paesi sprovvisti di ogni regolamentazione. Nel 2015 il Cnr ha adottato specifiche linee guida sull’integrità della ricerca, aggiornate lo scorso aprile. Così come diversi Atenei. Ma servirebbe molto di più.
Sarebbe auspicabile l’introduzione di un reato specifico?
Sarebbe importante che questa materia fosse regolata a livello europeo in modo che la comunità scientifica operante nell’Unione possa contare su uno standard giuridico uniforme. Si dovrebbe anche agire su più livelli: da corsi di etica della ricerca obbligatori per tutti i ricercatori, al rafforzamento del tutoraggio dei responsabili di laboratorio, fino a una cornice legislativa rigorosa di sanzione delle frodi scientifiche che, quando accertate, possano comportare il licenziamento dell’autore. Tuttavia dubito dell’opportunità di introdurre un nuovo reato, viste le penose vicende giudiziarie di non comprensione del fatto scientifico che hanno accompagnato da ultimo il caso Stamina e l’epidemia di Xylella – si veda la richiesta di archiviazione della Procura di Lecce.
I personaggi coinvolti nell’inchiesta giudiziaria sono ricercatori riconosciuti e di successo. Come ha reagito l’ambiente scientifico?
Credo che tutti i colleghi si aspettino che i ricercatori coinvolti nei lavori segnalati chiariscano la loro posizione pubblicamente con le rispettive riviste scientifiche, spiegando ogni aspetto contestato, ogni eventuale risultato diverso dal reale e la differenza tra errore e manipolazione. Così si rinsalda l’integrità e l’affidabilità del dato scientifico.
La ricerca sul cancro gode di finanziamenti consistenti, rispetto alle dimensioni della ricerca in Italia. È proprio questo che incentiva le frodi o le forzature?
A prescindere dai finanziamenti di cui beneficia un settore, questa è un’occasione per ribadire che la ricerca è l’unica strada verso la cura dei tumori. Che l’unico modo per raggiungere risultati a beneficio di tutti è garantire a tutte le idee un accesso equo e competitivo ai finanziamenti pubblici affinché sia premiata la migliore, contro ogni stanziamento non competitivo e privilegiato. Che alle risorse pubbliche è vitale che si aggiungano le preziose donazioni dei cittadini a charities impegnate su diversi fronti. Che nell’uno e nell’altro caso lo studioso lavora grazie al denaro e alla fiducia altrui. E che pertanto non può essere concessa alcuna superficialità, anche dove i dati da studiare e monitorare sono tonnellate e decine le persone da coordinare. Chiunque entri in un laboratorio deve garantire piena, continua e assoluta tracciabilità di ogni passo compiuto durante la giornata. Chi non è in grado di farlo va allontanato. Non è infatti ammissibile che esperimenti e risultati non siano archiviati e ricostruibili a posteriori, che i quaderni di laboratorio non siano aggiornati o che quanto scritto non sia perfettamente riconducibile a dati e prove. Alla libertà di indagare l’ignoto per conto del cittadino consegue un’enorme responsabilità pubblica.
In un passaggio della loro richiesta d’archiviazione, i pm criticano Airc, per conflitto d’interessi: il comitato scientifico decide assegnazioni di fondi a membri dello stesso comitato.
Non conosco le procedure Airc, ma sarebbe un’anomalia e un conflitto di interesse notevole. Gli scienziati che accettano di far parte di comitati chiamati a valutare proposte si mettono a disposizione degli altri, non cercano vantaggi per sé, né possono sottomettere progetti alla commissione di cui sono parte, auto-assegnandosi fondi. Nel 2001, da ricercatrice, mi imbattei in una commissione ministeriale che erogava risorse per ricerche sulle cellule staminali. Quando scoprii che alcuni dei suoi componenti avevano agito come sopra, lo denunciai pubblicamente. La vicenda arrivò in Parlamento portando il governo a riconoscere l’inopportunità di quel “metodo”. Il mio progetto era stato approvato, ma chiesi invano l’annullamento dell’intera procedura. Ogni scienziato ha il dovere di attivare gli anticorpi contro ogni deragliamento, senza avere amici o nemici, senza pensare a vantaggi o svantaggi, nell’unico interesse dei cittadini, “committenti” dell’attività scientifica a beneficio dell’intera società. Da questo discende, a mio avviso, la credibilità degli scienziati.
Il cittadino può continuare ad avere fiducia nella ricerca?
Il cittadino può continuare a donare con fiducia, sapendo che potrà chiedere conto in ogni istante del risultato di quel suo investimento e che la scienza ha mezzi e competenze per individuare le anomalie. Lo studioso, dal canto suo, non può addurre scuse di fronte al cittadino con il quale ha siglato un tacito ma non negoziabile impegno a essere affidabile, sincero e a riportare e rispettare i fatti. Venir meno a questo accordo vuol dire collocarsi automaticamente al di fuori della Scienza.
A questo link è possibile scaricare la versione ridotta dell’intervista, uscita sul quotidiano cartaceo.