Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
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Discorso Senatrice Elena Cattaneo in Aula al Senato sul ddl Premierato, 14/05/2024

Durante la seduta del Senato di martedì 14 maggio, la senatrice Cattaneo interviene elencando alcune criticità del disegno di legge costituzionale volto a introdurre in Italia una nuova forma di governo indicata come “Premierato“. Di seguito il testo del suo discorso, ripreso dal resoconto stenografico della seduta.

Signor Presidente, Ministra, colleghi e colleghe, è chiara a tutti l’eccezionalità della materia che stiamo affrontando in quanto in grado di incidere stabilmente sulle forme della nostra democrazia parlamentare. È per questo che nell’intervenire da non esperta della materia ho cercato di fare tesoro delle considerazioni che sono state espresse durante le numerose audizioni di costituzionalisti ed esperti in Commissione, per le quali voglio ringraziare l’intera Commissione affari costituzionali, a partire dal presidente Balboni.

Ho anche partecipato a diversi eventi come quello che si è tenuto alla Camera dei deputati lo scorso 8 maggio con la ministra Casellati e la presidente Meloni. Ho letto articoli di stampa e documenti, tra cui il denso dossier pubblicato lo scorso dicembre dalla Fondazione Astrid, a firma di oltre 30 costituzionalisti.

In tutte queste occasioni mi hanno molto colpito i commenti, in massima parte critici o comunque preoccupati, da parte di studiosi della materia, anche provenienti da culture politiche molto diverse.

In particolare, mi colpisce un elemento centrale e allarmante di queste critiche, cioè che, secondo queste critiche, la riforma, nel proporsi di rafforzare la stabilità del Governo, finisca con l’alterare l’attuale equilibrio tra i poteri costituzionali, fino a pregiudicare, in assenza di profondi correttivi, la possibilità di una reale dialettica democratica. Ora, per capire se ciò sia vero, credo si debba guardare al contesto istituzionale materiale e quotidiano in cui la riforma si inserisce. Questo è quello che vorrei fare con voi adesso.

Sono in Parlamento da undici anni, ne seguo le attività e ho imparato da voi, colleghi senatori di ogni appartenenza, dai vostri interventi e dalle vostre iniziative che nella dinamica Parlamento-Governo c’è un organo costituzionale che è da tempo un grande malato, un organo che non riesce ad esercitare con pienezza il dominio che gli è proprio. Questo grande malato delle istituzioni repubblicane è il Parlamento.

Da voi ho appreso che la funzione legislativa, che per Costituzione gli spetta in via esclusiva (salvo casi eccezionali), è diventata ormai, al contrario, quasi totalmente appannaggio del Governo, che ne dispone a piacimento e, se necessario, in modo tombale, con l’uso sistematico della decretazione d’urgenza combinata ai maxi emendamenti e al voto di fiducia. Strumenti che capisco dovrebbero essere eccezionali e che invece sono divenuti la regola dei nostri lavori. Quindi l’elefante nella stanza che oggi si finge di non vedere non è solo ciò che è contenuto nel testo in discussione, ma a mio avviso soprattutto quello che in quel testo non c’è, vale a dire la necessità di restituire forza, dignità e autonomia a un Parlamento indebolito, perché è proprio un Parlamento forte e in salute a risultare indispensabile per la tenuta dell’equilibrio del sistema democratico e di diritto. È proprio il bilanciamento tra gli organi costituzionali e i loro poteri ad assicurare libertà, uguaglianza, diritti e benessere ai cittadini.

Colleghi, credo che possiate condividere la sensazione, che spesso ho, di vivere in un Parlamento al contrario (intendo rispetto alla Costituzione scritta), un Parlamento spesso degradato a mero ratificatore di scelte maturate altrove. Ecco, in questo contesto, immaginare che un domani il Governo o, più precisamente, il Presidente del Consiglio eletto possa determinare autonomamente lo scioglimento delle Camere significherebbe decretare la fine di un organo costituzionale già malato. Per scongiurare questa fine, credo che la discussione sul rafforzamento del Presidente del Consiglio non possa in alcun modo non avere come presupposto giuridico-costituzionale il rafforzamento del Parlamento.

Aggiungo che alcune previsioni di questa riforma, da quello che ho potuto capire anche da diversi vostri interventi, non sono negative di per sé. In astratto si potrebbero ritenere anche opportune (penso alla possibilità di nomina e revoca dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio), ma diventano nel loro complesso inaccettabili se, come in questo caso, non vengono accompagnate da norme e istituti di rango costituzionale, legislativo e regolamentare volti a potenziare il Parlamento, facendo così da pesi e contrappesi del potere esecutivo.

Penso ad esempio al possibile inserimento in Costituzione di limiti alla decretazione di urgenza, già previsti dalla legge n. 400 del 1988 e oggi sistematicamente disattesi.

Penso all’innalzamento del quorum di voto per l’elezione dei membri degli organi costituzionali di garanzia, in modo da impedire che la maggioranza da sola possa determinarne la nomina; o ancora prevedere che almeno uno dei Presidenti delle Camere sia espressione dell’opposizione; o potenziare le attività del Parlamento in seduta comune e tanto altro.

Non regge al vaglio della logica, ancora prima di quello della democrazia avanzata, pensare che il Parlamento, eletto contestualmente al Presidente del Consiglio e quindi sostanzialmente per trascinamento, non abbia alcuna sostanziale forma autonoma di controllo sull’attività del Governo, mentre il Governo può determinarne sia l’attività legislativa sia, in ogni momento, a discrezione del Presidente del Consiglio, lo scioglimento. Non è logico.

Per questi motivi, colleghi, concordo con coloro che sostengono che l’attuale proposta di modifica della Costituzione aprirebbe una deriva plebiscitaria, che, nell’investitura del capo, di un uomo solo o di una donna sola al comando, tradisce la sovranità popolare dei cittadini, in nome dei quali si vorrebbe realizzare questa riforma. (Applausi).

Credo che con questa riforma il Parlamento, già succube oggi del Governo, diventerebbe ostaggio di una persona sola, il Premier. Questa riforma non solo non risolve, ma rafforza, a mio avviso, una patologia del sistema. Io vorrei essere chiara: nessuno può imputare la debolezza del Parlamento a questo Governo, perché si tratta di una patologia nota, che anche io ho visto aggravarsi negli anni. Sarebbe però responsabilità unica, di questo Governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, aggravarla ulteriormente.

Vorrei ulteriormente chiarire anche la mia visione su un altro aspetto: io non ritengo sia un tabù voler riformare la Costituzione. Ne erano consapevoli gli stessi costituenti. Sono andata a cercare l’ordine del giorno Perassi alla Costituente del 5 settembre del 1946, che ho sentito citare proprio dalla presidente Meloni in occasione del citato incontro alla Camera dei deputati.

In quell’ordine del giorno si riconosceva la necessità di introdurre forme di razionalizzazione della forma di Governo parlamentare con – cito – «dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e a evitare le degenerazioni del parlamentarismo».

Ma oggi, colleghi, il rischio non è la degenerazione del parlamentarismo, ma lo svuotamento della funzione parlamentare, un rischio insito in un progetto di riforma costituzionale che introdurrebbe una forma di Governo ibrida, né parlamentare né presidenziale. Un assemblaggio di modelli diversi, unicum mondiale, delle esperienze costituzionali delle democrazie a noi vicine.

Cito letteralmente da questo dossier della Fondazione Astrid: la ragione dell’assenza di questo modello dalle esperienze delle democrazie contemporanee discende evidentemente dal fatto che l’elezione popolare diretta del vertice dell’esecutivo, senza la presenza di una netta separazione dei poteri né di adeguati contrappesi istituzionali, presenti invece nelle forme classiche del Governo presidenziale, esula dai canoni ordinari che il costituzionalismo contemporaneo ha individuato come essenziali per la garanzia della democraticità del sistema e dei principi dello Stato di diritto.

Colleghi, io confido che su questa proposta possa svilupparsi un dialogo in grado di portarci a individuare un sentiero comune, per tenere insieme il rafforzamento della stabilità dell’Esecutivo con il rafforzamento della funzione parlamentare. Dovremmo essere tutti concordi che quest’Aula e quella di Montecitorio siano i luoghi naturali dove elaborare, nel confronto anche duro, purché leale, le migliori politiche pubbliche per tutto il Paese.

Le opzioni sul tavolo ci sono, in tanta parte anche tra gli emendamenti presentati. Penso al tema, che ho sentito proporre anche oggi qui, della sfiducia costruttiva sul modello tedesco. Nulla impedisce che si riesca a individuare un testo di riforma condiviso; un testo che, forte della maggioranza dei due terzi del voto dei parlamentari, segni l’inizio di una rinnovata capacità di iniziativa del Parlamento, che faccia di questo luogo il motore di una nuova stagione di riforma delle nostre istituzioni repubblicane. (Applausi).