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Di Katalin è piena l’Italia – Da D di Repubblica del 9 aprile 2022

Nel suo editoriale sul settimanale D di Repubblica di sabato 9 aprile, la senatrice Cattaneo racconta la vicenda della scienziata ungherese Katalin Karikò, fuggita dall’allora URSS per gli Stati Uniti e sempre a rischio di fallimento nella sua carriera scientifica, fin quando la sua intuizione sull’RNA messaggero, confermata da anni di prove ed esperimenti, è stata vitale per mettere a punto i primi vaccini anti-Covid19.

Ci sono scoperte scientifiche che nascono “per caso”; altre – la maggior parte – si ottengono per dedizione e tenacia. La storia della biochimica ungherese Katalin Karikò, classe 1955, appartiene alla seconda categoria. Karikò è stata tra le prime a intuire le potenzialità di cura dell’RNA, oggi alla base dei vaccini anti Covid-19. Ma tra l’intuizione di poter utilizzare questa molecola a scopo terapeutico, per istruire le cellule dell’organismo, e la sua applicazione sono trascorsi ben 15 anni. In mezzo ci sono stati decine di tentativi, il disinteresse dei colleghi, i finanziamenti persi, i fallimenti, a cui Karikò rispose perseverando, con tentativi ripetuti e ostinati.

Negli anni ’80, Karikò emigrò con la famiglia dall’Ungheria agli USA. Nel viaggio affidò alla figlia di due anni tutti i loro risparmi, cucendoli nella fodera del suo orsacchiotto di peluche. Iniziò come giovane ricercatrice alla Temple University venendo coinvolta nella sperimentazione di una cura contro l’HIV a base di RNA ottenuto in laboratorio. Quel trattamento induceva l’organismo a produrre interferone che era di beneficio alla malattia. Karikò cominciò a pensare che gli RNA potessero essere la base per nuove terapie geniche. Ma per anni nulla funzionò. Gli RNA che produceva in laboratorio si degradavano troppo in fretta; in altri casi la loro iniezione generava nell’organismo una reazione immunitaria di rigetto. Non si diede per vinta e, una prova dopo l’altra, si accorse che RNA fisiologici prelevati da un organismo vivente e reiniettati non venivano intercettati dal sistema immunitario. Il 2005 è l’anno della svolta: Karikò e l’immunologo Drew Weissman capiscono e dimostrano che alcune specifiche micromodifiche al nucleoside dell’RNA rendono la molecola invisibile al sistema immunitario e un perfetto vettore per terapie. Nel 2013, Ugur Sahin le offre di entrare in BioNTech, l’azienda che aveva fondato cinque anni prima, per studiare l’efficacia dell’RNA in vaccini anticancro. Due anni fa, gli studi e le sperimentazioni vengono adattati al nuovo nemico da sconfiggere: SARS-CoV2. Da lì in poi, la storia – costruita su quei decenni di studio e tentativi – è nota.

I ricercatori – scriveva Rita Levi Montalcini in una lettera alla madre e alla sorella – studiano cose che “non interessano nessuno, se non un piccolissimo gruppo di colleghi”. La storia di Karikò lo conferma, ma al contempo prova che la libertà di studiare per seguire un’intuizione è fondamentale a ogni innovazione; che è impossibile prevedere dove e quando nascerà la prossima grande scoperta, o escludere a priori che arrivi da uno scienziato valutato scarsamente in precedenza. Ecco perché la promozione della libertà di ricerca, a partire da quella di base, è indice della volontà di Stati e governi di guidare il futuro a partire dalla conoscenza. Una libertà da garantire con trasparenza e competizione. Trasparenza intesa come regole cristalline, uguali per tutti; competizione come possibilità di proporre le proprie idee, per essere valutate come migliori o peggiori, e quindi più o meno meritevoli di essere finanziate.

Spesso capita di osservare negli studiosi italiani il venir meno dei principi richiamati, a favore di una gestione opaca e ‘chiusa’ delle risorse disponibili. Cercare di contrastare questi comportamenti credo sia doveroso, soprattutto oggi, di fronte a una rinnovata attenzione pubblica per la ricerca tradotta in una certezza di fondi (a cominciare dal Pnrr) e di bandi (15 quelli previsti dal Ministero della ricerca fino a dicembre 2022).

L’Italia è disseminata di storie di scienza simili a quella di Katalin Karikò. Il nostro sistema di formazione e di ricerca ha fatto nascere competenze e passioni in ogni settore di studio, dal Nord al Sud. Come rappresentanti della comunità scientifica dovremmo essere impegnati quotidianamente a proteggerne il futuro e a promuovere – anziché rinnegare -, specie nel confronto con i decisori pubblici, regole, strumenti e azioni in grado di far diventare queste potenzialità un patrimonio di tutti.

 

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