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Considerare “rischio” e “pericolo” dei sinonimi è funzionale al marketing della paura – Da D di Repubblica del 1 febbraio 2020

Su D di Repubblica di sabato 1 febbraio, Elena Cattaneo ribadisce la profonda differenza tra i concetti di “rischio” e “pericolo”: il secondo è una potenzialità astratta, il primo una misura delle conseguenze.

Ecco l’articolo della Senatrice Cattaneo.

“Com’è noto, in natura esistono delle sostanze che possono causare effetti tossici per l’uomo. Tuttavia, non molti sanno che assumiamo abitualmente alcune di queste sostanze perché contenute negli alimenti che mangiamo.

Ad esempio, i semi della mela, il proverbiale frutto della salute in grado di “togliere il medico di torno”, contengono l’amigdalina, sostanza capace di liberare acido cianidrico e, a determinate dosi, di provocare avvelenamento. Non per questo, però, ci preoccupiamo se ne ingeriamo per sbaglio qualcuno. Un’altra sorpresa la riservano le patate (soprattutto la buccia) a causa della solanina, un glicoalcaloide che le protegge contro i parassiti ma che, nell’uomo, può provocare nausea, diarrea, febbre e vertigini.

Eppure, la presenza di queste sostanze non rappresenta un argomento sufficiente per cancellare mele e patate dalla lista della spesa. La stessa acqua, se assunta in quantità eccessive, può causare effetti tossici, ma d’altra parte sarebbe impossibile pensare di eliminarla dalla nostra dieta. L’acqua, poi, può avere effetti indesiderati e poco piacevoli anche in altre forme e contesti: immergere la mano in acqua bollente causa ustione; cadere in acque ghiacciate causa ipotermia.

Questi esempi ci ricordano che l’effetto dannoso di una sostanza non è legato alla sua semplice presenza ma dipende dalla dose (quantità), dal tempo, dalla frequenza di esposizione e da altri fattori.

Il pericolo, quindi, non è altro che la potenzialità astratta di un prodotto, di una sostanza o di un’azione di causare un effetto indesiderato o tossico (l’amigdalina che può causare avvelenamento). Definiamo, invece, “rischio” la misura o stima delle conseguenze indesiderate o tossiche che possono derivare da una determinata condotta. Se questa condotta manca (se non faccio una scorpacciata di semi di mela), la sostanza pericolosa (l’amigdalina) non rappresenterà un rischio (l’avvelenamento).

L’abitudine a considerare, a torto, rischio e pericolo dei sinonimi risulta funzionale al mercato dei “senza” che, spesso ingannando il consumatore e sollecitando le sue paure, fa credere – ad esempio – che solo la frutta da agricoltura biologica possa essere mangiata con la buccia perché prodotta “senza” pesticidi, oppure che la pasta “senza” glifosate sia più salutare, quando invece è spesso solo più cara. Ciò che le etichette dei prodotti “senza” non dicono è che la “pericolosità” dell’erbicida glifosate, talvolta presente nella pasta in residui infinitesimali, non configura un rischio per l’uomo (la dose diventa “rischiosa” solo consumando oltre 270 chili di pasta al giorno, ogni giorno, per tutta la vita) ed è considerata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro IARC – che non fa valutazioni del rischio, a differenza, ad esempio, dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA – alla pari delle emissioni delle fritture, del lavoro notturno, dell’etilbenzene (contenuto nel caffè) e dell’esposizione professionale alle tinture per capelli; ma inferiore a quella dell’etanolo, presente in ogni bevanda alcolica e “certamente cancerogeno”.

Il comportamento più rischioso che possiamo mettere in atto è dunque pensare che quel “senza”, frutto di un “marketing della paura”, possa essere sinonimo di “senza rischio” per noi e l’ambiente. Non considerando, o non ricordando, che il “rischio zero” nelle attività umane, semplicemente, non esiste”.

Elena Cattaneo
Docente della Statale di Milano e senatrice a vita

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.