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Via le paure, è questione di metodo – Da D di Repubblica del 9 marzo 2019

Se la scienza non mette in campo adeguati strumenti di comprensione, scatta un riflesso che interpreta ogni novità come un pericolo. Il rigore del metodo scientifico, che mette alla prova ogni scoperta e ogni conquista, aiuta a stabilire basi condivise per il consenso. Questo il tema dell’editoriale della senatrice Cattaneo su D di Repubblica del 9 marzo 2019.

“Sono poche ma inderogabili le regole che confermano la validità di una nuova scoperta scientifica. La conquista di un nuovo pezzo di conoscenza segue la strada della trasparenza, ogni passo è descritto accuratamente e pubblicamente, per dare la possibilità alla comunità di esperti di ripercorrerla e sperimentarla per giungere (si spera) alle stesse conclusioni, e da lì ripartire. È la regola aurea della riproducibilità, spesso la prima ad essere trasgredita dai “ciarlatani” della scienza. Le altre regole riguardano la consistenza numerica dei campioni analizzati che deve essere rappresentativa della realtà, la definizione di “oggetti” o elementi che, piccoli o enormi, devono produrre misure quantificabili, il numero di repliche con lo stesso risultato e l’assenza di condizionamento da parte dell’operatore. Infine, la prova più difficile: resistere ad ogni tentativo di smentita attraverso esperimenti “killer” che sfidano il disegno sperimentale per capire quanto le prove siano attendibili.

Di fronte alla solidità di un dato così ottenuto una pubblicazione scientifica può anche cambiare il consenso su una determinata materia. Quel risultato sarà studiato da centinaia di occhi e mani per decretarne senza pietà la forza o la morte. Con questo metodo, che è la migliore garanzia offerta alla società, la scienza compie passi in avanti rispetto alle nostre più profonde convinzioni, arrivando spesso a cambiare un paradigma radicato e sollecitando resistenze. Il rispetto di queste regole, infatti, salta subito agli occhi esperti degli scienziati, allenati a valutare il valore di una scoperta dalla metodologia usata, ma lo stesso non si può dire per chi non ha queste competenze.

Nel 1997 suscitò clamore la notizia della nascita di Dolly, la famosa pecora frutto di clonazione. La notizia generò un animato dibattito sulle prospettive, per alcuni terrificanti, che questo avanzamento della scienza avrebbe potuto comportare. Subito si parlò di clonazione umana, di Dna manipolati per ottenere esseri umani “su misura” (un’ipotesi che esula dalla scienza e dal suo interesse conoscitivo e applicativo) e di una pratica immorale da vietare. In pochi, in quel momento, hanno pensato al perché la scienza avesse voluto spingersi fin lì, a quale fosse stata l’idea che aveva indotto a sperimentare quella strada e quali benefici avrebbe potuto portare.

Anche i primi vaccini, i primi trapianti o le prime trasfusioni hanno generato simili paure. Immaginiamo cosa possa essere stato a metà degli anni Cinquanta ascoltare dalla radio che a Boston un chirurgo (poi insignito dal Nobel per la Medicina) aveva trapiantato un rene “sottraendolo” a un donatore vivente; oppure, alla fine degli anni Sessanta, apprendere dalla tv la notizia di un cuore espiantato da una donna di 25 anni che aveva perso la vita per essere reimpiantato in un uomo di trent’anni più vecchio. In quanti hanno tentato di dipingere questi medici come novelli Frankenstein? Eppure queste conquiste si sono rivelate fondamentali per migliorare la nostra vita. La storia insegna che quando la scienza costringe a confrontarsi con alcune convinzioni o tabù senza adeguati strumenti di comprensione, la paura diventa la prima difesa. Scatta un riflesso di tipo evolutivo che interpreta ogni novità come un potenziale pericolo.

Il metodo con cui si costruisce il consenso scientifico intorno a una scoperta è chiaro e condiviso. Quello per guadagnare la fiducia dei cittadini merita invece una diversa e più attenta considerazione. La scienza si concilia con la società quando racconta come si è passati, con fatica e fallimenti, dall’immaginazione di ciò che non si conosce alla sua descrizione, fino a condurre il mondo su uno scalino più alto della conoscenza. Per questo ogni scienziato dovrebbe dedicare a questo compito un impegno pari a quello profuso per la scoperta di cui è artefice”.

Elena Cattaneo
Docente della Statale di Milano e Senatrice a vita

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