La senatrice Cattaneo, dopo l’intervista di Repubblica a Iain Mattaj, scrive al quotidiano ricordando che lo Human Technopole di Milano (di cui Mattaj è direttore) dovrà porsi al servizio del resto del sistema della ricerca italiano, stremato dalla mancanza di fondi, e non in un rapporto di concorrenza che, date le circostanze, sarebbe completamente sbilanciato a favore di HT.
Ecco la lettera di Elena Cattaneo a Repubblica.
“Caro Direttore,
ho letto con interesse l’intervista a Iain Mattaj, direttore dello Human Technopole (HT), pubblicata su RLAB lo scorso 19 dicembre. Si fatica a pensare che l’infrastruttura di ricerca che descrive sia lo stesso progetto “petaloso” presentato nel novembre 2015 dall’allora Presidente del Consiglio. Il passaggio dall’originale improvvisata iniziativa all’odierna fondazione, con la vigilanza dei tre ministeri fondatori e una governance costruita per garantire più livelli di controllo incrociato, è stato impegnativo e vincente in alcuni aspetti, lasciando però aperti alcuni interrogativi importanti.
Per affrontarli occorre fare una domanda “fuori tempo”, scomoda ma utile a capire la traiettoria da imprimere alla ricerca del Paese: l’Italia ha davvero bisogno di un nuovo centro che assorbirà circa 1,2 miliardi nei prossimi dieci anni? Cioè di una nuova “istituzione che fa ricerca sulla biologia e il suo impatto sulla salute” (come la definisce lo stesso Mattaj) su temi sui quali in Italia abbiamo già eccellenze a livello mondiale, ma le cui ricerche non beneficiano di risorse minimamente rapportabili a quelle disponibili per questo nuovo progetto?
Abbiamo davvero bisogno della “concorrenza” – impari – di una struttura che, grazie a risorse cospicue, continuative e a un’agile burocrazia, “contenderà” al sistema pubblico della ricerca i migliori ricercatori da quest’ultimo formati?
Per rispondere è utile guardare almeno a quel che è successo recentemente nel panorama della ricerca pubblica italiana. In questi ultimi due anni abbiamo visto l’impegno e la caparbietà dell’ex ministra Fedeli nell’assicurare, in netta controtendenza col passato, alla ricerca di base del Paese – in tutte le discipline- bandi pubblici per una cifra complessiva di quasi 400 milioni di euro. A quell’impegno ora segue il nulla e, vista la legge di bilancio, il “nulla” appare anche come l’unico orizzonte di finanziamento di questo fondo. Senza contare le irrisorie risorse stanziate nella manovra per il funzionamento degli Atenei nei quali continuiamo a formare eccellenti ricercatori. Eppure – specie dopo i rilievi della Commissione europea – finanziare capitoli che manifestamente rappresentano un investimento per il futuro del Paese, sarebbe stato più che necessario.
Il Paese sembra intrappolato nel tragico paradosso per cui mentre si assicurano e si programmano risorse ultradecennali per progettare e alimentare un nuovo “centro/infrastruttura di ricerca” (è vitale capire in che percentuale sarà centro “chiuso” e “hub aperto al paese”) nessuno si pone il problema di capire e agire affinché si scongiuri l’emorragia di idee che lasciano il Paese. Anzi, si lavora in senso opposto, basti pensare all’ultima sciagurata norma della legge di bilancio che, nel bloccare le assunzioni nel settore pubblico, paralizza la carriera – in aperto conflitto con il percorso dettato dalla legge Gelmini- dei giovani ricercatori (RTD-B), provenienti anche dall’estero, formati e valutati positivamente(*).
Ma il vero punto è: di fronte a questo divario che si sta acuendo, dov’è quel mondo della ricerca che si sente continuamente depredato e schiacciato e che lamenta giustamente la desertificazione dei fondi su ogni ambito del sapere? Perché l’annuncio di un HT non ha provocato una rivolta dei giovani e dei meno giovani d’Italia le cui idee sono ferme o rallentate perché per loro non c’è nessun euro, nessun interesse, nessun piano, e nemmeno una previsione che vi possa essere? La responsabilità della nascita dall’oggi al domani di un “nuovo centro di ricerca” al di fuori di ogni programmazione non è solo e tanto della politica quanto, piuttosto, di una comunità scientifico-accademica inane che perlopiù tace e acconsente, con il cappello in mano, sperando di raccogliere briciole.
Cari studiosi, è tempo di mobilitarsi! La responsabilità sociale di ciascuno, di chi ha posizioni apicali o mira a raggiungerle, sta anche nel non chiamarsi fuori dal costruire, insieme alla politica, una visione (ad oggi assente) del futuro della ricerca in questo Paese. Se ci si preoccupa di “coltivare solo il proprio orto” non resterà nessuno ad alimentare la visione “per il Paese” né a valorizzare idee, progetti, scoperte e giovani.
C’è da augurarsi che HT fiorisca e che lo faccia realizzando l’obiettivo dichiarato dal suo Presidente Marco Simoni di creare un “hub aperto” (molto aperto, aggiungerei) per favorire la crescita del sistema ricerca del Paese. È ancora possibile costruirlo seguendo l’esempio svedese dello “Science for Life Laboratory”, vale a dire un concentrato di super-esperti e tecnologie a cui tutti possono accedere su base competitiva, basta disegnarlo così nel primo documento di indirizzo strategico che dovrà essere approvato dagli organi di HT. C’è anche da augurarsi però che questo non avvenga facendo appassire il resto della ricerca italiana. Per evitarlo serve che la comunità scientifica e accademica si esprima coralmente, in tutti i suoi livelli, giovani compresi, nell’interesse comune per realizzare una società fondata sull’economia della conoscenza, oggi totalmente assente – se non a parole – dall’orizzonte del Paese”.
Elena Cattaneo
Docente della Statale di Milano e Senatrice a vita
A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.
*NB: quanto riportato in corsivo è stato scritto e inviato al quotidiano La Repubblica prima che il disegno di legge di bilancio venisse modificato e approvato nella sua forma finale nella notte di sabato 22 dicembre. L’articolo 1, comma 209-bis, introdotto durante l’esame al Senato, autorizza le università statali, per il 2019, in deroga alle vigenti facoltà di assunzione, a stipulare contratti per ricercatori a tempo determinato di “tipo b” e a bandire procedure per la chiamata di professori universitari di seconda fascia riservate ai ricercatori universitari a tempo indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale. A questo link è possibile consultare la nota del Servizio Studi del Senato relativa a tale deroga.