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La ricerca che vince nonostante il Paese – Da Repubblica del 9 novembre 2017

L’8 novembre 2017 viene pubblicato su Nature un paper su un’eccezionale scoperta scientifica in un’università italiana: il team del prof. Michele De Luca, presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è riuscito a “ricostruire”, grazie alle cellule staminali, la pelle di un bambino siriano sofferente di epidermolisi bollosa. La Senatrice Cattaneo scrive un breve commento su Repubblica a proposito delle molte implicazioni di questa scoperta.

Sono tanti i messaggi in questa straordinaria storia di guarigione. Primo, passare da 6 centimetri quadrati a circa un metro quadro di pelle rigenerata significa dimostrare di saper governare l’intero processo. Riuscire a ottenere una vastità di “cellule specializzate giuste” da staminali significa aver vinto la sfida della “scalabilità” di una procedura basata su materiale vivente, significa aver portato il prodotto cellulare a livello di farmaco efficace e riproducibile. Secondo, è raro che un lavoro clinico, terapeutico, trovi spazio su Nature. Succede quando una spettacolare conquista clinica è costruita su una straordinaria conoscenza della biologia di base, in questo caso delle staminali della pelle. È questa la medicina rigenerativa a cui guardare, quella che procede insieme alla biologia, consapevoli che ogni volta che le due si separano succedono disastri. Terzo, una ditta farmaceutica italiana, Chiesi Farmaceutici, ha creduto e investito facendo la sua parte e trovandosi ora con primati mondiali. La scienza e la medicina creano prodotti commerciali e occupazione. Quarto, la ricerca pubblica italiana vince. Noi sappiamo quanta fatica costano i successi scientifici e quanto ancora e di meglio si può produrre in tanti settori, alimentando una sana competizione tra idee, lontana anni luce dai venditori di fumo e dall’autopromozione che lucra su ignoranza, speranza e disperazione. La nostra ricerca e alcuni nostri scienziati sono la frontiera della conoscenza, “malgrado” la miopia di un Paese che dalla ricerca di base, dalla scienza, non solo rifugge, ma con le decisioni della sua classe politica è incline a creare ostacoli, dagli Ogm alla sperimentazione animale.
Chissà che la storia di un bimbo siriano sfuggito agli orrori della guerra e salvato da un’Europa che accoglie e cura, memore degli sconvolgimenti che l’hanno attraversata nella prima metà del Novecento, non sia l’occasione per guardare al nostro futuro insieme e ai nostri studiosi con maggiore fiducia e orgoglio.
In Italia lavorano gruppi che sono la punta di diamante nel mondo delle staminali, della terapia genica e della genomica, con centri come l’Università di Modena e Reggio Emilia, il San Raffaele di Milano e l’Istituto di Genetica del Cnr di Cagliari (con l’Università di Sassari). Potranno continuare a esserlo, creando sviluppo e speranze per tutti noi, solo se, dalle “eccellenze malgrado il sistema Paese”, si passerà a un Paese che, con risorse, onestà e rigore, saprà investire nei propri ricercatori affidandosi al metodo della scienza invece che alle distribuzioni clientelari. Ricercatori le cui capacità sono sotto gli occhi di tutti, realizzate in un bambino che ora corre su un prato, anziché giacere sedato in un sudario di sangue e bende, in attesa di un futuro che non sarebbe mai arrivato.