Si tratta di una delle più importanti leggi di sanità pubblica della legislatura, che più di tante altre migliorerà le prospettive di salute dei cittadini italiani.
Elena Cattaneo, Senato della Repubblica, 12 luglio 2017
Signor Presidente, cari colleghi,
la legge in discussione è una delle più importanti leggi di sanità pubblica della legislatura, quella che più di tante altre migliorerà le prospettive di salute dei cittadini italiani.
Al ministro Lorenzin, al Governo nel suo insieme, alle Commissioni e alla relatrice va il mio riconoscimento per aver saputo trattare con responsabilità e lungimiranza le politiche di salute pubblica, senza temere critiche immotivate e guardando al benessere dei cittadini di domani.
Anche io, come tutti voi, ho ricevuto messaggi di ogni tono e contenuto, ho letto notizie non sostanziate che alimentano paure umanamente comprensibili ma scientificamente insensate.
Hanno ragione la senatrice Maturani e il senatore Buemi nel ricordare che questi sono comportamenti che nascono, probabilmente, anche dalla percezione che le malattie che falcidiavano le generazioni che ci hanno preceduto fortunatamente non sono più intorno a noi. Non abbiamo più davanti agli occhi la tragica testimonianza di persone colpite da poliomelite o da vaiolo, ma virus e batteri non sono affatto spariti. Molti infettano l’uomo per rigenerarsi. Li abbiamo intorno. Li possiamo e li dobbiamo tenere sotto controllo, senza abbassare la guardia, dando il nostro contributo anche nell’informare, sapendo che informare su questioni di scienza può non essere facile.
Il nostro cervello, infatti, funziona in modo un po’ strano e questo ce lo spiega chi si occupa di psicologia cognitiva e di neuroscienza cognitiva. Il nostro cervello ha forti pregiudizi, che sono retaggio della sua storia evolutiva lunga decine di migliaia di anni, quando doveva pensare alla sua individuale sopravvivenza e a reagire alle emergenze mentre esplorava la savana del pleistocene.
Ebbene, gli storici della medicina e gli psicologi cognitivi ci spiegano che il nostro cervello è uscito dalle caverne solo diecimila anni fa – questa è una citazione dai loro testi – quando stava in altri contesti e fa fatica oggi, con le informazioni scientifiche che parlano di prevenzione (e, quindi, di anni che verranno, quando prima gli anni non esistevano), di probabilità, di statistica, di rapporto rischi benefici e di precauzione. Fa proprio fatica: è come se il nostro cervello fosse inadatto a ragionare su questi temi.
Quindi, è vero che informare è importante, ma informare non basta. Vi sono già studi, proprio su famiglie che non vogliono vaccinare i propri figli, che dimostrano che una informazione correttiva è utile con una parte dei dubbiosi ma addirittura controproducente con i più scettici. Questi studi ci dicono, e dovrebbero davvero allenarci sulle politiche sul come informare, che è sbagliato correggere i falsi miti o rimuovere gli errori di giudizio così radicati nel nostro cervello evolutivo, perché così si stimola quello che è noto come backfire effect cioè l’effetto del ritorno di fiamma o il bias di conferma che rafforza il rifiuto. Così forse ci spieghiamo le radicalizzazioni delle posizioni.
Ecco, quindi, che non si devono rimuovere le convinzioni sbagliate, ad esempio che i vaccini causano l’autismo, ma si deve dare una nuova informazione e dire, cioè, cosa succede a un bambino colpito dal virus della parotite o dalla rosolia. Questa modalità informativa si è rivelata efficace in una parte degli scettici. Quindi, non abbassare la guardia significa anche sviluppare modi per informare su tematiche di salute pubblica e chiarire le questioni più dibattute. Lo farò anch’io citandone alcune, con il supporto della logica, delle prove e della letteratura scientifica più recente.
La prima questione riguarda la difesa, da più parti richiamata, della libertà individuale; ma invocarla in questo contesto è come sostenere che ognuno deve essere libero di togliere i freni alla propria auto perché sospetta che siano stati disegnati male sostenendo di poterne fare a meno schivando ogni ostacolo o frenando con i piedi. Non si può invocare la libertà di mettere a rischio la vita altrui.
La seconda questione riguarda, invece, la nostra responsabilità sociale e collettiva di cittadini. Responsabilità che deriva dalla cosiddetta immunità di gregge, più volte richiamata, con la quale la comunità si autoprotegge dall’insorgenza della malattia perché la circolazione dell’agente patogeno diventa impossibile. Questa soglia di sicurezza raccomandata dall’OMS varia a seconda del tipo di malattia ed è pari al 95 per cento, per esempio, nel caso del morbillo. Si è già sottolineato in questa Assemblea che rifiutare le vaccinazioni, facendo abbassare questa soglia, significa esporre a rischi letali i propri figli e quelli altrui, bambini in età prevaccinale o bambini e adulti con un sistema immunitario compromesso a causa di malattie autoimmuni o tumori. Rifiutare le vaccinazioni significa anche lasciare il patogeno libero di infettare le cellule dell’organismo, quindi di modificarsi per dare origine a ceppi più virulenti e mutati per i quali i vaccini attuali potrebbero non funzionare. Quindi, un individuo non vaccinato può funzionare da “veicolo” per la creazione di ceppi resistenti agli attuali vaccini.
Il terzo punto riguarda l’affermazione per cui l’Italia sarebbe l’unico Paese in Europa a ricorrere all’obbligo per un numero così elevato di vaccini. Eppure quando si sono presentati dei cali delle vaccinazioni, i diversi Paesi hanno reagito e hanno preso sempre provvedimenti. La Germania ha introdotto sanzioni economiche per i genitori che non segnalano alle autorità il loro rifiuto di vaccinare i figli al momento dell’iscrizione al nido. In Francia sono stati resi di nuovo effettivi alcuni provvedimenti legali e due genitori, che senza motivata ragione – se non le personali percezioni – si sono opposti alla vaccinazione per i loro figli, sono stati sanzionati. Un mese fa, sempre in Francia, si è aperto un dibattito per rendere obbligatorie 11 vaccinazioni pediatriche, rispetto alle attuali tre.
Non c’è dubbio che l’obbligo deciso per decreto-legge sia un’emergenza, una scorciatoia per riportare la copertura vicina alla soglia di sicurezza; ma è la decisione più veloce ed economica per raggiungere i tassi di copertura suggeriti dall’OMS.
Al senatore Divina, che mi sembra sostenere che l’obbligo non sia necessario perché non ci sono epidemie in atto, mi viene da rispondere: meno male. Con questo provvedimento ci si affida alla medicina proprio per prevenire un tale e sciagurato epilogo al Paese.
Il quarto passaggio riguarda la presunta pericolosità dei vaccini. Negli ultimi vent’anni non ci sono state morti scientificamente correlabili ai vaccini. Quante invece le persone decedute a causa di malattie infettive considerate scomparse? Nel ventesimo secolo, quando i vaccini non esistevano, quasi 1,7 miliardi di persone sono morte per malattie infettive e la nostra aspettativa di vita è passata dai quarantasette anni del Novecento agli ottantacinque odierni grazie alla sconfitta di tante malattie grazie anche ai vaccini, oltre che a una migliore igiene e all’uso di antibiotici.
Nel mondo occidentale le vaccinazioni di massa hanno evitato la morte di 500 milioni di persone e pensate che nell’attuale decennio, 2011-2020, permetteranno di evitare la morte di 25 milioni di persone.
Come tutti i farmaci anche i vaccini possono causare reazioni avverse. Ci possono essere alcune, rarissime, reazioni gravi, comunque trattabili, come anafilassi, dolori articolari, edemi, per le quali è previsto il ricovero temporaneo; parliamo però di meno di un caso su un milione e, nel complesso, l’incidenza delle reazioni avverse è inferiore a quella dei più banali farmaci in commercio. L’aspirina, ad esempio, causa un numero di reazioni avverse 1.500 volte maggiore dei vaccini.
Sempre circa la pericolosità, ricordo in quest’Aula la nota frode scientifica del chirurgo britannico Wakefield. Egli sosteneva che a seguito della vaccinazione trivalente, alcuni bambini avessero contratto l’autismo. Ma due eventi in sequenza non sono necessariamente collegati. Quella di Wakefield fu una frode inventata per interessi economici, scoperta da un giornalista e poi smascherata da studi scientifici che hanno sempre smentito le correlazioni tra vaccinazioni e autismo, una malattia difficile che oggi sappiamo avere tratti di natura genetica, con i primi segni in epoca fetale e quindi prevaccinazione. Quel tragico inganno, però, ci offre un esempio di cosa succede quando si è in presenza di un calo delle vaccinazioni; ci fu l’esplosione di un’epidemia nel Regno Unito nel 2012 con quasi 10.000 casi di parotite, la morte di 15 bambini, un’epidemia di morbillo, ospedalizzazioni e casi gravi. È la prova drammatica di come la pseudoscienza possa diventare un pericolo concreto.
Come quinto punto, vorrei dare una risposta all’interrogativo relativo al numero di vaccini resi obbligatori, da molti ritenuto eccessivo per un bambino. Molti dati indicano che non c’è da preoccuparsi. Un antigene è un piccolissimo pezzo di microorganismo. È, in altre parole, una singola sostanza dotata di proprietà immunogeniche, in grado cioè di stimolare il nostro sistema immunitario. Con un graffio o una puntura di zanzara un bambino entra in contatto istantaneamente con migliaia e migliaia di antigeni. Fino a pochi anni fa i pochi vaccini di cui disponevamo contenevano 3.000 antigeni. Pensate che oggi, con più vaccini, siamo scesi a meno di 100 stimolazioni e, quindi, a meno di 100 antigeni.
L’ultimo punto riguarda i presunti interessi delle case farmaceutiche ad alimentare il mercato dei vaccini. Un documento del 2015 dell’Agenzia del farmaco sui costi dei vaccini per il nostro Sistema sanitario nazionale sottolinea come in quell’anno la spesa nazionale per i vaccini fosse stata l’1,4 per cento della spesa totale del sistema sanitario per i farmaci e la situazione non è diversa in Europa. La preoccupazione è anzi che oggi solo 5 case farmaceutiche producono la maggior parte dei vaccini, mentre negli anni Ottanta erano 17 e 26 nel 1967. A conti fatti, a guadagnarci sembra essere la salute pubblica, molto più delle multinazionali.
Il dibattito sui vaccini ci impone infine una riflessione sul nostro sistema di giustizia. È probabile che l’applicazione della legge che ci accingiamo a votare investirà presto i tribunali italiani. Il caso Di Bella prima e Stamina poi ci hanno insegnato che il nostro sistema di giustizia si presta alla possibilità di ignorare le direttive delle autorità sanitarie. Ecco perché nel 2015, la Commissione Sanità del Senato, al termine dell’indagine conoscitiva sul cosiddetto Caso Stamina, aveva proposto all’unanimità di prevedere il coinvolgimento dell’autorità sanitaria competente nei giudizi che riguardano la sperimentazione di farmaci. Oggi abbiamo l’opportunità, con questa legge, di renderlo effettivo. Grazie al sostegno del Gruppo delle Autonomie e di singoli colleghi appartenenti alle diverse forze politiche in Parlamento e del Governo, è stato approvato l’emendamento che prevede il coinvolgimento nel processo dell’Agenzia italiana del farmaco nel caso di controversie relative ai farmaci, siano essi vaccini o farmaci oggetto di sperimentazione. Si tratta di una norma che vorrei dedicare alla memoria del professor Paolo Bianco dell’Università La Sapienza e del Generale dei NAS Cosimo Piccinno. Uomini delle nostre istituzioni, di cui abbiamo conosciuto le competenze e l’inesauribile determinazione nell’aiutare il Paese e la giustizia nel far emergere la verità nella cosiddetta vicenda Stamina. Nel ricordo della loro passione civile, e ferma restando la piena autonomia del magistrato, con la norma «Bianco-Piccinno» si prevede la presenza obbligatoria nei processi della massima autorità in materia che dovrebbe limitare il rischio che si ripetano giudizi scientificamente infondati, come successe in troppi processi proprio su Stamina. In altri termini, questa norma cerca di prevenire scelte improprie su quel che ci è più caro: la salute.
Cari colleghi, approviamo questa legge, ma non consideriamo un traguardo l’aver sancito un obbligo. Il vero traguardo l’avremo raggiunto quando, imparando a informare i cittadini su questo tema, ne avremo fugato i timori e riconquistato la fiducia.
Quest’opera, prima ancora della comunità politica, impegna tutta la comunità medica e scientifica, così come gli umanisti, della cui fondamentale funzione divulgativa e partecipativa alla vita democratica del Paese non mi stancherò mai di affermare la necessità. La scienza, ricordiamolo, lavora per il benessere di tutti, ma perché essa sia condivisa e accettata necessita di essere compresa. Spetta, quindi, alle istituzioni tutte lavorare perché alle intenzioni facciano seguito le azioni. (Applausi dai Gruppi PD e AP-CpE-NCD)
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