Il dibattito pubblico sul decreto che reintroduce l’obbligo dei vaccini riapre la questione del rapporto tra scienza e giustizia. Dopo i casi Di Bella e Stamina, per evitare ancora un corto circuito tra fatti scientifici e sentenze nei processi si propone di introdurre l’obbligo di coinvolgere nei processi l’AIFA, massima autorità in materia.
Elena Cattaneo è così intervenuta sul quotidiano la Repubblica, il 30 giugno 2017:
Lancet con un lapidario redazionale intitolato “Più giudizio clinico, meno giudici clinici” nel gennaio del 1998 commentava il cortocircuito scienza-giustizia generato in Italia dal caso Di Bella. L’autorevole rivista osservava come fosse “un’anomalia che la magistratura abbia il potere di ignorare, sulla base di modesti pareri medici, le precise direttive [dell’Autorità Sanitaria] in materia di farmaci; o, peggio, che le decisioni dei giudici comportino il sostegno ufficiale ad una cura non ancora sperimentata”. Non è un caso che quella vicenda fosse deflagrata nel Paese a partire dalla decisione del Pretore di Maglie che aveva obbligato l’Asl di Lecce a somministrare gratuitamente quanto prescritto dal noto dottore di Modena. Dal pretore al Tar del Lazio fino alla Corte Costituzionale, il passo fu breve, con i corollari di speculazioni politiche di piazza, fughe in avanti di singole Regioni, la famigerata par condicio mediatica tra scienza e non scienza, fino al disastroso e tombale esito della impropria (in quanto priva dei requisiti) sperimentazione promossa a “furor di popolo” e a spese dei cittadini. Dopo 15 anni abbiamo assistito allo stesso canovaccio con la triste vicenda Stamina. Anche qui non pochi tribunali di ogni ordine e grado hanno veicolato e avallato – certamente non da soli – analoghe e per molti aspetti ancor più grottesche “aspettative di cura”, trasformando, magicamente per sentenza, un pericoloso intruglio di pasticci nel diritto del malato alla “terapia che non c’è”, dimentichi di quel che le autorità sanitarie competenti, la scienza, il metodo scientifico, offriva loro. Non si tratta di una occasionale “malpractice” di singoli ma di una vera e propria falla (non la sola) del sistema giustizia italiano cui, nel febbraio del 2015, la Commissione Sanità del Senato, con l’approvazione della relazione finale relativa all’indagine conoscitiva sul Caso Stamina, all’unanimità aveva cercato di porre rimedio con alcune proposte. Si era condivisa la necessità di intervenire affinché nei giudizi aventi ad oggetto la sperimentazione di farmaci fosse assicurata, alla cognizione del giudice, l’apporto tecnico scientifico dell’Autorità sanitaria competente. Da allora, il Parlamento non ha mai avuto l’opportunità di recepire quanto proposto.
Oggi con la necessaria conversione del decreto legge sull’obbligatorietà dei vaccini, i parlamentari hanno l’occasione di far tesoro delle riflessioni richiamate e prevedere che nel caso di controversie relative ai farmaci, siano essi vaccini o oggetto di sperimentazione, sia coinvolta nel processo, pena la nullità, l’Autorità sanitaria competente, AIFA o ISS, con obbligo di “fornire in memoria tutti gli elementi tecnico scientifici aggiornati sulla questione oggetto di causa“. In tal modo si ridurrebbe il rischio che il singolo magistrato sia costretto a decidere – spesso in solitudine ed in base a consulenze tecniche d’Ufficio (CTU) poco accurate se non, talvolta, difformi dalle prove della scienza o dall’orientamento scientifico prevalente – su materie ad elevatissimo contenuto specialistico.
La presenza obbligatoria in tali processi delle nostre autorità sanitarie, consentendo un contraddittorio pieno sulle questioni scientifiche offerte al giudice, limiterebbe notevolmente il ripetersi di esiti paradossali di giudizi di accoglimento di domande scientificamente infondate, con l’inevitabile disorientamento dei cittadini. In altri termini si cercherebbe di prevenire scelte giurisdizionali improprie su quel che è a tutti più caro: la salute.
L’applicazione della opportuna legge sull’obbligatorietà vaccinale è verosimile che investirà anche i tribunali italiani. Per allora è necessario prevedere che ogni magistrato – di ciascun tribunale della Repubblica – possa conoscere nel processo tutti i necessari e aggiornati elementi tecnico scientifici.
Questo tipo d’intervento normativo si collocherebbe dunque all’interno e a monte della decisione giudiziaria, nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascun magistrato, puntando – attraverso il “semplice” ma fondamentale apporto scientifico qualificato – a ridurre il più possibile le divergenze e lo scollamento tra realtà acquisita dalla comunità scientifica prevalente e quella “alternativa” proposta giudizialmente.
Quanto ipotizzato è stato riportato in un emendamento che ho affidato all’attenzione trasversale di tutti quei Senatori che individualmente ne condividano le finalità. “Bianco-Piccinno” è il nome che idealmente ho assegnato a questo emendamento, come piccolo tributo alla memoria del Prof. Paolo Bianco e del Generale dei NAS Cosimo Piccinno, prematuramente scomparsi. Uomini delle nostre istituzioni, siano esse universitarie o militari, di grandi capacità e competenze, di cui ho conosciuto l’instancabile lena e determinazione nel far finalmente emergere – anche nei momenti più difficili- la verità nella vicenda Stamina.
Elena Cattaneo
Docente Università Statale di Milano
Senatrice a vita