Su D di Repubblica di sabato 17 settembre, nella settimana precedente alle elezioni politiche, la Senatrice Cattaneo firma un editoriale per raccontare le proprie aspettative sul futuro del Paese.
Ecco l’editoriale della Senatrice Cattaneo.
“L’Italia che vorrei è un Paese dove le protagoniste della crescita sociale ed economica siano formazione, cultura e scienza. Un Paese che, oltre ogni slogan, decida di affrontare alcuni temi fondamentali: diritti e istruzione per tutti, competenze da valorizzare, decisioni pubbliche basate su prove ed evidenze scientifiche disponibili.
“Diritti e istruzione”, per me, significa garantire a tutti i cittadini condizioni di partenza, se non identiche, almeno paragonabili nell’ambito della formazione. Questo è l’unico modo per dare senso alla parola “merito”. Tutti devono avere la possibilità di realizzare il proprio potenziale, di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita proprie e altrui e di poter competere liberamente, ad armi pari, con le proprie idee e capacità; tutti hanno diritto alla massima trasparenza nei sistemi e nei criteri di valutazione. Nell’Italia che vorrei (e che oggi non c’è) questi principi non dovrebbero avere eccezioni di alcun genere, essendo le fondamenta di una società libera e inclusiva.
L’Italia che vorrei è un Paese che investa con convinzione nelle competenze, capace di puntare l’attenzione su ogni singolo giovane e chiedersi cosa possa fare per lui o per lei, per la sua crescita, per far sì che possa mettere le proprie competenze al servizio di tutti. Un Paese cresce e si rinnova se cresce e si rinnova la sua comunità, se le competenze vengono valorizzate e sostenute piuttosto che abbandonate o, ancora peggio, umiliate da procedure di selezione amicali e non trasparenti. Un Paese che invece delle nuove idee continui a promuovere logiche spartitorie e privilegi è destinato a spegnersi; un Paese dove non si fa formazione, non si studia e non si ricerca perde non solo la capacità di trovare le risposte ai grandi interrogativi del nostro tempo, ma anche quella di formulare le domande. Il timore di perdere i nostri giovani e l’incapacità di attrarne di nuovi dovrebbero ossessionare la politica al pari della crisi alimentare o del rincaro delle fonti energetiche.
L’Italia che vorrei è un Paese in cui i rappresentanti delle istituzioni di ogni grado, consci della responsabilità nei confronti della comunità che rappresentano, sentano l’imperativo di assumere decisioni pubbliche partendo dai fatti e dalle evidenze scientifiche disponibili e di approfondire ogni opzione e le sue conseguenze. Il rischio, altrimenti, è di ritrovarci “intrappolati” da scelte politiche inefficaci, quando non volutamente manipolative della realtà per questioni di convenienza o consenso. Scelte, queste sì, tossiche per la democrazia.
Infine, l’Italia che vorrei è un Paese in cui le proposte elettorali non si esaurissero nella zuffa per prevalere – con promesse mirabolanti e spesso impossibili da mantenere – nelle urne il 25 settembre, ma fossero anche e soprattutto occasione di confronto di proposte volte a immaginare l’orizzonte del Paese fra dieci o vent’anni. Soltanto così le istituzioni repubblicane, con il rinnovato sostegno dei cittadini, saranno in grado non solo di affrontare le difficoltà, ma anche di cogliere le opportunità di un futuro che ci riguarda tutti”.
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