Nel suo editoriale su D di Repubblica di sabato 2 luglio, la senatrice Cattaneo evidenzia l’importanza degli screening neonatali per la diagnosi precocissima di condizioni e malattie che, se trattate in tempo, hanno un impatto più gestibile sulla vita (e, in alcuni casi, sulla sopravvivenza) dei bambini.
Sofia (il nome è di fantasia) è una bambina di due mesi affetta da atrofia muscolare spinale. La SMA è una malattia rara caratterizzata dalla perdita dei “motoneuroni” che dal sistema nervoso centrale portano i segnali ai muscoli, controllando i movimenti. La malattia è dovuta alla perdita di funzione del gene SMN1 che, insieme al “gene fratello” ma meno efficiente, SMN2, è responsabile della produzione della proteina SMN necessaria ai motoneuroni per garantire posizione eretta e attività motorie. Nel 97-98% dei casi, la mutazione coinvolge un punto specifico del gene SMN1, e ciò ha reso possibile la messa a punto di un test di screening molecolare neonatale che lo identifica. Ogni anno in Italia nascono circa 40/50 “Sofia” con questo difetto genetico. In assenza di trattamento farmacologico, la SMA è la prima causa genetica di mortalità infantile. La buona notizia in questa storia è che Sofia è nata in Puglia, prima regione in Italia ad aver approvato – ad aprile 2021 – una legge regionale, promossa dal consigliere Fabiano Amati, che introduce l’obbligo di screening neonatale per l’atrofia muscolare spinale.
L’obbligo prevede il prelievo di uno spot ematico entro le prime 48-72 ore di vita su cui viene eseguito il test genetico. In caso di positività, dopo la conferma della diagnosi, al bambino viene somministrata la terapia genica autorizzata (quindi rimborsata) da AIFA per i bambini affetti da SMA entro i 21 chili. In Puglia, il servizio di screening – con una previsione di spesa di circa 300 mila euro all’anno – è iniziato a dicembre scorso; Sofia è il primo caso diagnosticato in fase asintomatica, dopo circa 8 mila test nella norma. La somministrazione precoce della terapia, in questo caso al ventitreesimo giorno di vita, ne aumenta considerevolmente l’efficacia.
Cosa sarebbe successo se Sofia fosse nata in un’altra regione? La malattia le sarebbe stata diagnosticata alla comparsa dei primi sintomi: entro i 6 mesi nel caso di SMA di tipo I (50-60% dei casi), tra i 6 e i 28 mesi per SMA II, dopo 18 per SMA di tipo III. Ma soprattutto, la terapia sarebbe stata ritardata con riduzione dell’efficacia, richiedendo presumibilmente ulteriori trattamenti, ricoveri e riabilitazione. Diagnosi precoce e tempestività nella somministrazione della cura possono prevenire gli effetti della malattia ed essere garanzia di una vita priva di sofferenze e privazioni. Con vantaggi anche per il sistema sanitario nazionale, laddove terapie di frontiera – spesso le più costose – utilizzate nelle migliori condizioni cliniche possono essere risolutive e scongiurare interventi sanitari che accompagnerebbero la vita del paziente.
L’Italia è uno dei paesi europei con la politica di screening neonatale più avanzata. Dal 2016, con la legge 167, tutti i bambini nati in Italia vengono sottoposti a screening per la diagnosi precoce di malattie metaboliche ereditarie. La legge di bilancio 2019 ha esteso lo screening alle malattie neuromuscolari genetiche (tra cui la SMA), alle immunodeficienze congenite severe e alle malattie da accumulo lisosomiale. La legge ha, inoltre, previsto la revisione periodica, almeno biennale, della lista delle malattie da ricercare attraverso lo screening neonatale, in relazione all’evoluzione delle evidenze scientifiche in campo diagnostico-terapeutico per le malattie genetiche rare.
Eppure lo screening che ha permesso a Sofia di accedere tempestivamente alla cura che probabilmente le cambierà la vita non è garantito in tutto il Paese. Quello che manca per renderlo automaticamente obbligatorio su tutto il territorio è l’attivazione dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA).
Il loro ultimo aggiornamento è del 2017, ma è privo di efficacia in attesa – da cinque anni – dell’emanazione del cosiddetto Decreto tariffe. Sono 187 le richieste di aggiornamento e inclusione dei LEA pervenute al Ministero della Salute tra il 2016 e il 2020. Per ogni richiesta ci sono in gioco, vite, aspettative di cura, speranze che meritano di essere valutate e, se fondate sulle evidenze, accolte senza ritardo. Un processo che impiega anni nel tradurre quanto deciso in prestazioni sanitarie al cittadino, è inidoneo alla difesa di un bene fondamentale come la salute.