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La dedizione di un Presidente alle istituzioni – Dal Messaggero del 27 gennaio 2022

Durante la settimana di votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica, la senatrice Cattaneo, sul Messaggero di giovedì 27 gennaio evidenzia la necessità che il nuovo inquilino del Quirinale sappia porsi a garanzia del ruolo del Parlamento, spesso negli ultimi anni svuotato delle sue funzioni da un massiccio ricorso ai decreti-legge da parte del Governo.

Ecco l’articolo della Senatrice Cattaneo.

La necessaria attenzione alla “rosa” o al nome che metta tutti d’accordo rischia di far passare in secondo piano il significato dell’elezione per il rinnovo della più alta carica dello Stato: individuare “una” o “un” Presidente della Repubblica che, nel rappresentare l’unità nazionale, nutra un amore incondizionato verso le istituzioni repubblicane che si trova a incarnare. L’esercizio delle prerogative della carica di Presidente comporta, infatti, prima di tutto una completa dedizione affinché gli organi costituzionali e i vari poteri dello Stato siano esercitati con pienezza e responsabilità. L’assenza o il mancato esercizio di funzioni proprie dello Stato (politiche, giudiziarie o amministrative) finirebbe inevitabilmente con lo squilibrare l’intero sistema costituzionale, ripercuotendosi negativamente sulla vita dei cittadini.

Penso che proprio queste ore di fibrillazione sul profilo e il nome del nuovo Presidente della Repubblica possano essere l’occasione per una riflessione che vorrei condividere con i colleghi “grandi elettori”.

È notorio che il Parlamento oggi è in tanta parte surrogato dal Governo e troppo spesso degradato a ratificatore di “decisioni altrui”, dimentico, sembra, del senso della rappresentanza democratica che è linfa della sovranità della Repubblica. Ho sempre seguito con interesse i numerosi interventi (dagli stessi colleghi parlamentari, alla dottrina giuridica e politologica fino alle cronache giornalistiche) che concordano nel rimarcare come le Camere siano sempre più periferiche nell’elaborazione delle decisioni pubbliche che scandiscono la vita del Paese. Una deriva costante nel tempo che l’emergenza pandemica ha solo accelerato e per alcuni aspetti giustificato, in nome di una comprensibile (ma solo in quanto transitoria) verticalizzazione delle decisioni dei poteri pubblici.

Da quelle stesse riflessioni capisco come sia improbabile che il Parlamento – questo o il prossimo a ranghi ridotti – possa recuperare la forza per esercitare la pienezza della funzione legislativa, d’indirizzo e di controllo che gli è propria. È l’esperienza degli ultimi anni a parlare. Mi sembra anche di capire che nessuna maggioranza parlamentare che esprima una compagine di governo si incaricherà mai di limitare, davvero, l’abuso dei decreti legge, dei maxiemendamenti, delle questioni di fiducia. Nessuna maggioranza parlamentare si incaricherà mai di impedire, contro i propri interessi, la fuga del processo di discussione ed elaborazione della decisione pubblica dalla sede propria -quella parlamentare – verso luoghi di composizione degli interessi (anche politici) non trasparenti e, come tali, meno democratici.

La dinamica della legge di bilancio ne è forse l’esempio più eloquente: ogni anno, la paternità del prodotto finale diventa incomprensibile perfino agli stessi addetti ai lavori. È stato osservato che un cittadino, consultando gli atti parlamentari per capire le ragioni dell’approvazione o non approvazione di una norma, non troverebbe risposte. Di quelle norme nelle commissioni non si è discusso. Al posto del confronto, ci si è limitati a formalizzare decisioni prese altrove. Una decisione che si afferma dalle “segrete stanze” alla Gazzetta Ufficiale, in un continuum politico-istituzionale che ha smarrito le forme parlamentari, non è materialmente riconducibile ad alcuno ed è così sottratta alla responsabilità politica che lega gli eletti ai cittadini e culmina con l’esercizio del voto.

In questo contesto mi appare sempre più necessario un “vincolo” esterno, super partes, che richiami alla fisiologia del circuito Governo-Parlamento nel sistema costituzionale. Il nostro sistema parlamentare affida questo ruolo, in forme e tempi diversi, alla Corte costituzionale e al Presidente della Repubblica. Mi ricordano, ad esempio, che la Corte costituzionale, nel 1996, pose fine alla prassi della reiterazione dei decreti-legge. La stessa Corte è intervenuta nel 2019 sulla potenziale ammissibilità di conflitti di attribuzione sollevati da parlamentari che lamentino la grave compromissione delle rispettive prerogative. La Presidenza della Repubblica, a partire dal Presidente Mattarella, ha più volte richiamato il Parlamento per l’insostenibilità della qualità di una legislazione “frutto avvelenato” delle disfunzionalità richiamate.

Confido che il Presidente che andremo ad eleggere sia, per amore della Repubblica, rigoroso interprete delle regole proprie della democrazia parlamentare.

 

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.