Nel suo editoriale su D di Repubblica, la senatrice Cattaneo riepiloga le fasi di svolgimento e validazione degli studi scientifici in ordine di affidabilità.
Ecco l’editoriale della senatrice Cattaneo.
Studi randomizzati, doppio cieco, peer review, in vitro, in vivo... Con un’informazione dominata da notizie “scientifiche”, sarebbe quanto mai utile aiutare cittadini e pazienti a destreggiarsi tra notizie, opinioni e annunci e a comprendere l’affidabilità di uno studio scientifico e della rivista che lo ha pubblicato.
Chi volesse andare alla fonte di notizie lette sui social o ascoltate in tv sul possibile effetto nocivo o benefico di una sostanza dovrebbe tener presente che esistono diversi passi necessari alla validazione di uno studio. Il primo è rappresentato dagli studi in vitro: sono la riproduzione di un fenomeno “in provetta” oppure su cellule che non necessariamente corrisponde a quanto si verifica nella realtà. I test sugli animali (ignorati nel dibattito pubblico, ma necessari), normati in ogni aspetto, compresi specie e numero esatto di esemplari da utilizzare, sono invece indispensabili come prima verifica di sicurezza ed efficacia nella ricerca biomedica o in fisiologia. Può essere necessario – o imposto dalle agenzie regolatorie – condurre lo studio su specie diverse (nell’attuale lotta al Covid-19 sono impiegati roditori, furetti, macachi). Il percorso non è sempre a senso unico: a volte è necessario tornare “alla casella precedente” prima di poter passare al modello umano.
Superata la fase pre-clinica, la sperimentazione di un nuovo farmaco procede con studi clinici (trials) in tre fasi che coinvolgono poche decine di persone nella fase uno, centinaia in fase due, migliaia in fase tre. Segue (sempre sotto osservazione) l’autorizzazione del farmaco, che può anche essere ristretta e limitata a un territorio o nazione. Ad esempio, sono 6 i candidati vaccini contro Covid-19 che hanno raggiunto lo stadio dell’autorizzazione (ristretta), 11 sono in fase tre, 14 in fase due, 35 in fase uno, ben 88 in fase preclinica (il conto aggiornato è disponibile sul sito del New York Times). Per la prima volta, di fronte a dati particolarmente solidi dei test pre-clinici, le agenzie regolatorie hanno addirittura permesso di accorpare due delle tre fasi, in modo da guadagnare tempo.
Gli studi clinici possono essere “controllati”, se al gruppo che assume il farmaco si affianca un gruppo “di controllo” che riceve un placebo, e “randomizzati”, anche detti “in doppio cieco” poiché né il medico né i soggetti coinvolti sanno chi riceve il farmaco e chi il placebo. Si tratta (soprattutto se svolti su campioni numerosi) dei test più affidabili.
I risultati (clinici o preclinici) così ottenuti, rigorosamente documentati, sono raccolti in un manoscritto che racconta ogni fase dello studio, sottoposto poi a una rivista scientifica. Se il comitato editoriale non lo respinge, si apre una fase di approfondimento attraverso la revisione da parte di pari appartenenti alla comunità scientifica, la peer review. L’editore cioè individua 3-4 revisori che (in forma anonima e gratuita) leggono e valutano per iscritto il lavoro in merito a novità, solidità e completezza dei dati, numero di soggetti coinvolti, repliche, varietà di strategie sperimentali. I revisori possono “bocciare” il paper o chiedere chiarimenti. Seguono settimane quando non mesi di lavoro per tentare di trovare risposte convincenti. Esistono poi articoli detti “metanalisi” che, per indagare evidenze apparentemente divergenti, “studiano” l’insieme degli studi già pubblicati su uno stesso argomento per verificare se sia possibile dare univocità complessiva ai risultati scientifici.
La pubblicazione dell’articolo, post peer review, è un “mattoncino” di conoscenza in più, da utilizzare, rimanendo in ambito biomedico, per costruire nuove strategie di cura affidabili e sicure per tutti noi.
A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.