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Il tempo della scienza alla prova della pandemia – Da D di Repubblica del 18 luglio 2020

Nel suo editoriale su D del 18 luglio, la senatrice Cattaneo ricorda che a volte il tempo necessario alla ricerca per raggiungere, verificare e consolidare un risultato appare incompatibile con la velocità imposta da un’emergenza sanitaria. Ma il metodo scientifico resta il processo conoscitivo più idoneo, alla fine del suo percorso, a consegnare prove verificabili in grado di non essere degradate a opinioni.

Ecco l’articolo della senatrice Cattaneo:

Kronos, il tempo che divora ogni cosa, regna sugli uomini esercitandosi incessantemente sui loro corpi e su quel che hanno di più prezioso: la conoscenza. Nella scienza serve tempo tra la “scoperta” e il consenso diffuso sul suo valore; ne serve per il lavoro dei laboratori, per la discussione con i pari e per la pubblicazione dei dati, la validazione e la dimostrazione della loro ripetibilità; e, infine, per gli innumerevoli – e doverosi – tentativi di falsificazione cui ogni scoperta deve resistere per dirsi “consolidata”. Serve tempo, purtroppo, anche quando lo si vorrebbe azzerare per fronteggiare un’emergenza sanitaria. Serve tempo, e la storia delle grandi conquiste della ricerca e della medicina è qui per ricordarcelo.

Con lo storico della medicina Andrea Grignolio di recente ho scritto del dibattito scientifico intorno all’Helicobacter pylori quale causa della gastrite: sono stati necessari 25 anni di dati, verifiche e confronti per ottenere un riconoscimento pieno e unanime della scoperta da parte della comunità degli studiosi. I vaccini – gli stessi che nel decennio appena concluso hanno evitato la morte di 25 milioni di persone nel mondo – hanno impiegato anche venti o trent’anni prima di arrivare sul mercato. E ancora: la scoperta degli anticorpi monoclonali, premiata con il Nobel nel 1984, risale a una pubblicazione di 45 anni fa, eppure solo recentemente ha iniziato a mostrare efficacia contro il cancro, oltre ad essere studiata come terapia anti-Covid da sperimentare.

Sono trascorsi quattro mesi da quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato lo stato di pandemia, sei dal momento in cui abbiamo conosciuto e iniziato a studiare Sars-CoV-2. Un tempo troppo breve per chiedere alla scienza di essere immediatamente allineata su un’ipotesi che deve ancora essere verificata o su risultati sotto valutazione, su cui non ci sono sufficienti dati per poterli considerare certi. Il confronto, sano e fisiologico, tra scienziati non può avvalersi di scorciatoie, ma procede tenendo presente che un fenomeno nuovo deve essere studiato sotto tanti profili, talvolta persino confliggenti tra loro, fino a che le prove accumulate non risultino convincenti in modo determinante per la loro solidità.

Prima del nuovo Coronavirus, a scontrarsi contro il muro del tempo che divide le ipotesi di ricerca da una certezza scientifica era una minoranza della popolazione, penso ad esempio alle persone affette da malattie rare ancora prive di cure. Oggi siamo tutti accalcati contro questo muro ed è comprensibile che l’opinione pubblica desiderosa di risposte non sia disposta a dare tempo alla scienza.

Ma come rendere utile il trascorrere del tempo in attesa di nuove certezze? Fornendo ai cittadini gli strumenti per comprendere la scienza come metodo, come processo conoscitivo complesso, fallibile, contraddittorio, fondato su continui silenziosi fallimenti, ma proprio per questo idoneo, alla fine del suo percorso, a consegnare prove verificabili in grado di non essere degradate a opinioni. Solo così si può sottrarre spazio all’ignoto, evitando l’illusione che le risposte alle nostre incertezze si possano trovare nella pericolosa superstizione. Si scrive “scienza”, ma oggi più che mai si deve leggere “metodo scientifico”. Quando tutti avremo gli strumenti per comprendere il metodo della scienza, non sarà più necessario spiegare che il tempo è un suo punto di forza e non una sua debolezza.

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.